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Salvini stretto tra governisti, idealisti e post-marxisti

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Per quanto sia stata ritenuta sbagliata da alcuni leghisti, la scelta fatta da Salvini di appoggiare il governo Draghi con tre ministri e nove sottosegretari ha avuto una sua ratio, considerando che bisognerà gestire i miliardi del Recovery Fund, riscrivere la legge elettorale e, dulcis in fundo, eleggere il prossimo inquilino del Quirinale, tutte cose che stando dentro gli apparati si possono gestire con maggior profitto rispetto a chi sta all’opposizione, il tutto con dei costi e delle rendite che non sono, però, subito esigibili. Anzi, al momento l’operazione sembrerebbe in perdita
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Nel corso delle manifestazioni di protesta per la chiusura delle attività di commercianti e ristoratori che si stanno tenendo in molte parti d’Italia, sono volati insulti anche per il leghista Giancarlo Giorgetti, ministro dello sviluppo economico, e per lo stesso Salvini che, poveretto, è uno dei pochi che si sta battendo per la riapertura delle attività commerciali. Ma se il leader leghista s’è, ormai, assuefatto all’idea di essere insultato in ogni occasione anche quando l’insulto è gratuito, crediamo non sia per niente abituato al restringimento del consenso per il suo partito. Infatti, stando ai rilevamenti dei diversi istituti demoscopici, in poco più di un anno la Lega sarebbe calata di circa dieci punti nel gradimento degli italiani: quattro punti soltanto negli ultimi quaranta giorni.

Non si sfreghino le mani in anticipo gli avversari di Salvini perché, anche se tale dato dovesse essere confermato nella cabina elettorale (se e quando riusciremo a rimettervi piede), secondo gli stessi istituti rilevanti la Sinistra verrebbe comunque staccata di dieci punti dal Centrodestra unito. Questi sono, però, dei calcoli che lasciano il tempo che trovano essendo ancora lontano l’agognato obiettivo delle elezioni. In effetti ciò che a noi preme è capire perché Salvini e la Lega abbiano perso tanto consenso in così poco tempo: non è successo neppure al funambolico M5S che, eccetto per il reddito di cittadinanza, si è rimangiato dalla seconda all’ultima promessa fatta ai propri seguaci!

La verità è che, per la seconda volta in due anni, tra due opzioni a sua disposizione, il capo della Lega ha dovuto scegliere quella più sofferta e discutibile. Ci riferiamo alla decisione di entrare in un governo che, nelle intenzioni di Mattarella, doveva essere di salvezza nazionale con tutti dentro.

Intendiamoci, prendere certe decisioni non è stato facile per il leader della Lega, né ai tempi del Papeete quando realizzò di dovere mandare al diavolo Conte e i grillini che stavano trasmutando nella brutta copia del Pd, né a febbraio scorso quando ha deciso di appoggiare il governo Draghi – Mattarella, dopo aver vissuto, immaginiamo, il travaglio di un dubbio: lasciare il governo ostaggio dell’incapace ciurma di Sinistra, oppure salire a bordo per limitarne i danni? Ha deciso di salire a bordo, il che ha avuto una sua ratio, atteso che bisognerà gestire i miliardi del Recovery Fund, riscrivere la legge elettorale e, dulcis in fundo, eleggere il prossimo inquilino del Quirinale, tutte cose che stando “dentro” gli apparati si possono gestire con maggior profitto rispetto a chi sta all’opposizione, con dei costi e delle rendite che non sono subito esigibili. Come dire che la Lega, al momento, potrebbe continuare a perdere consensi, specialmente al Sud, anche perché sta pagando lo scotto di non aver saputo elaborare un piano di governo in alternativa alla Sinistra, limitandosi ad incentrare la sua azione politica sulla protesta. Il guaio è stato che quando poi la protesta ha riempito le piazze, la Lega si è fatto trovare dall’altra parte della barricata.

Di contro, Fratelli d’Italia ha scelto la via dell’opposizione al governo Draghi e, stando sempre ai famigerati sondaggi, ne sta raccogliendo i frutti i termini di consenso. Ma il consenso in Italia, come in ogni altra democrazia d’altronde, fonda sui legittimi interessi delle diverse classi sociali e, in minima parte, su degli ideali, solo che, sulle medie distanze, gli interessi sono capaci di procurare il consenso trasversale, mentre gli ideali il più delle volte diventano delle splendide coperte per rivestire l’improduttiva solitudine politica.

In questo particolare momento storico, poi, mentre il Paese rischia di saltare per aria, venditori ambulanti, commercianti, ristoratori, artigiani, agenzie di viaggio e piccoli imprenditori, insomma il laborioso popolo delle partite IVA un tempo fiore all’occhiello della Lega, si sente, a torto, abbandonato proprio dalla Lega che dovendo stare nel governo assieme ad un gruppo di partiti che incarnano il peggio del post marxismo, deve procedere con i piedi di piombo per non far saltare tutto. Peraltro, Salvini ha un problema anche con le sue truppe, ammesso che queste siano ancora compattamente “sue”, divise come sono tra i governisti alla Giorgetti e quelli che, invece, lo accusano di essersi messo in doppiopetto, anzi a dirla tutta, lo accusano di essersi appecorinato a Draghi.

Ma il futuro politico di Salvini e della Lega, oltre che del governo, è nelle mani dell’ex presidente della BCE il quale lo ha capito e, perciò, durante la conferenza Stato-Regioni di ieri ha fatto delle rinfrancanti ipotesi di riapertura di alcune attività, specialmente di quelle connesse all’accoglienza e alla ristorazione. Non sarà questo da solo a far ripartire il Paese ma, almeno, mette qualcosa da poter spendere in mano al leader leghista.

Anzi, siamo certi che quel furbone di Draghi, che è riuscito a passare indenne attraverso un numero imprecisato di governi e di istituzioni, per consentire al suo governo di navigare farà qualche altra piccola concessione, se non altro per non compromettere la sua entrata al Quirinale soltanto perché non è riuscito a “gestire” Salvini… come un Giuseppe Conte qualsiasi.

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