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I tedeschi hanno ancora l’aquila in testa

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La sentenza della sua Alta Corte costituisce una vera e propria dichiarazione di supremazia della Germania sul resto dell’Unione Europea, stabilendo peraltro che uno Stato membro è sovrano, indipendente e con il diritto –  dovere di tutelare la propria costituzione e sindacare, quando occorre, l’operato della BCE. Il tutto sintetizzato nella conclusione che gli Stati, ma leggasi Germania, sono padroni col diritto di esercitare il controllo di legittimità anche oltre la propria giurisdizione
– Giuseppa Alessandro* –

Se qualcuno doveva ricevere ancora una prova sulla tenuta dell’Europa, la risposta ci è stata fornita il 5 maggio scorso dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca.

L’antefatto.

Nel 2015, l’allora capo della BCE – Banca Centrale Europea Mario Draghi aveva dichiarato pubblicamente che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di preservare e tutelare l’euro contro qualsiasi manovra speculativa che avrebbe minato l’equilibrio monetario dell’area, influendo soprattutto sui Paesi fortemente indebitati.

Si avviò così il meccanismo del QE – Quantitative Easing, ovvero l’immissione di massa monetaria sul sistema con lo scopo di mantenere molto bassi i tassi di interesse dei Paesi debitori – principalmente l’Italia –  attraverso l’acquisto di titoli del debito pubblico tramite il sistema bancario. Tale decisione fu fortemente criticata dalla Germania che, nonostante la sentenza della Corte di Giustizia Europea che aveva dato ragione alla BCE, fece ricorso alla propria Corte Costituzionale contro la stessa sentenza.

La motivazione formale di tale preoccupazione risiedeva nel fatto che la Germania riteneva che in caso di crisi, attribuibile principalmente all’accrescimento del debito dei Paesi dell’area euro, i debiti avrebbero pesato sul bilancio comunitario obbligando i Paesi più forti a farvi fronte. Ricordiamo che, sulla base dei trattati che regolano i rapporti intracomunitari tra i Paesi aderenti, le norme che regolano i rapporti tra Paesi dell’area euro, sono predominanti rispetto alle norme interne dei singoli Paesi.

Se ne deduce che la sentenza della Corte di Giustizia Europea, che aveva riconosciuto il corretto operato della BCE, fu messo in discussione dalla Germania che invocò l’intervento della propria Corte Costituzionale come giudice di ultima istanza, disconoscendo i vincoli indotti dalla firma dei trattati. Nasce così il primo “incidente” istituzionale aggravato, per di più, dal disconoscimento della BCE come istituzione autonoma in ambito comunitario e soggetta a controlli in quanto chiamata dalla stessa Corte Costituzionale a dare giustificazioni del proprio operato.

La sentenza della sua Alta Corte costituisce una vera e propria dichiarazione di supremazia della Germania sul resto dell’Unione stabilendo che lo Stato è sovrano e indipendente con il dovere di tutelare la propria costituzione e sindacare sull’operato della BCE. Tutto sintetizzato nella conclusione: gli Stati (leggasi Germania) sono padroni col diritto di esercitare il controllo anche oltre la propria giurisdizione.

Si viene così a frantumare il sogno della Federazione Europea comportante la netta competenza istituzionale tra soggetti ai quali viene attribuita la politica monetaria, come la BCE, ed altri ai quali spetta la politica economica. Se da un lato la Corte di Giustizia europea ha riconosciuto, con la propria sentenza, l’indipendenza della BCE quando, introducendo i programmi di sostegno, si accolla il rischio del debito dell’intera Unione; dall’altro lato l’Alta Corte tedesca fa venire meno il principio della solidarietà a favore degli Stati più deboli senza la quale il sistema non potrà reggere. La Germania ha affermato con ciò un chiaro principio: la BCE non dovrà fare la banca centrale e qualsiasi tipo di supporto finanziario si dovrà ottenere in forma di prestito con tanto di interessi e le dovute garanzie.

Allora ci si chiede: a cosa serve rimanere nell’Unione Europea. Sicuramente conviene alla Germania che, a prescindere da qualsiasi critica mossa alla BCE, è la principale nazione che, direttamente e indirettamente, ha beneficiato dei bassi tassi di interesse in seguito alla politica della stessa banca. Perché non andare sui mercati e finanziare le politiche economiche sovrane a parità di condizioni? Stiamo andando verso la frantumazione? Temo che l’alto scontro che si sta consumando tra due livelli istituzionali elevati, Corte Costituzionale Tedesca e Corte di Giustizia Europea, non rimarrà senza conseguenze. Ciò che all’interno di alcuni Stati, in primis l’Italia, sta crescendo è il grado di disapprovazione delle politiche europee-germaniche che stanno esasperando i popoli che alla parola Europa affiancano quella di austerity.

Nel frattempo si assiste alla ferma reazione della BCE: la Lagarde ribadisce l’indipendenza della banca che continuerà a fare tutto il necessario per adempiere il mandato di massimo sostegno all’area euro garantendo la stabilità europea. Essa afferma ancora che la BCE non può essere sottoposta al tribunale di uno Stato membro ma ad un organismo europeo. La Germania si trova chiaramente in una condizione scomoda; una sua vittoria potrebbe determinare una grande divisione politica tra Europa del Nord e il resto, nonché un ridimensionamento della BCE.

E l’Italia nel frattempo cosa fa? Si trova attanagliata dalla necessità di trovare immediate soluzioni finanziarie di sostegno, nell’attesa di decisioni altrui spesso e più volte rimandate, e nel frattempo la sua economia subisce enormi contraccolpi, mentre i principali competitors industriali ricevono cospicui aiuti da parte dei loro Paesi e si muovono acquisendo quote di mercato a nostro discapito. Da questo palcoscenico emerge un panorama devastante, l’unico mezzo finanziario a parziale sostegno della ripresa rimane il MES che ci viene praticamente imposto dai “falchi”.

Ancora una volta la propaganda politica e l’informazione mainstream, ci informano che l’Italia dovrà accettare questo strumento di prestito perché è senza condizioni. In realtà questo è l’unico strumento che ci viene consentito o imposto perché agevola il “controllo” dei debitori e ne limita l’indebitamento. Imporre il MES significa porre un controllo politico sul nostro Paese da parte delle istituzioni europee guidate dalla Germania. Non s’intravedono altre forme di intervento a breve termine perché il SURE, o cassa integrazione europea e la BEI, o European Investment Bank , e i Recovery Fund non sono pronti!

Il MES invece ha trovato conforto nella lettera di risposta del 7 maggio ricevuta dalle istituzioni governative con la quale gli organi preposti  ci spiegano che sono state rimosse le condizioni per poi scoprire che rimane valida l’applicazione del early warning system o allarme preventivo finalizzato al ensuring repayment (assicurare il rimborso), ovvero  un sistema di controllo introdotto nel 2014 con il quale si stabilisce il principio attraverso il quale il MES sorveglia costantemente la capacità di restituire il prestito. Qualora questo tipo di informazione non è ottenibile attraverso i dati macroeconomici il MES si avvarrà di esperti economici che avranno necessità di andare sul territorio chiedendo i dati alle autorità di controllo.

Tutto ciò senza dimenticare che al MES l’Italia ha partecipato con un versamento di 15 miliardi di euro in conto capitale, un capitale che copre in parte l’importo massimo ottenibile in forma di prestito di circa 36 miliardi, ma che dovremo rimborsare e sul quale matureranno gli interessi; esattamente con accade prendendo in prestito il denaro dalle banche.

Cosa si nasconde dietro a tutto questo?

Qualcuno osa pensar male.

*Economista
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