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Giuseppa Alessandro, il Mes e l’Unione Europea

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Secondo l’economista lombardo-salentina non possiamo attenderci niente di buono da un ‘Unione Europea dove sono stati creati strumenti finanziari a sostegno dei Paesi economicamente più deboli che, però, vengono usati contro di essi favorendo l’ingiusto arricchimento di altri; dove la politica economica e monetaria viene egemonizzata da un unico Paese con la complicità di pochi altri al solo fine di stroncare l’avversario economico per conquistare maggior dominio sui mercati. Siamo di fronte a una nuova guerra che s’inizia ancora una volta da parte di un Paese la cui storica tendenza conquistatrice manu militari oggi si consuma sui mercati finanziari
– Enzo Ciaraffa –

Dottoressa Alessandro, come amministratore unico della Società “Ital Consulting” e formatrice di Quadri dirigenti di economia, lei è l’unica persona che in questo fibrillante momento storico può aiutarci a capire senza politichese che cosa sta accadendo in Italia e in Europa. Stando a quella che è ritenuta la causa iniziale dell’infezione da Covid-19, mi domando e domando preliminarmente a lei, com’è stato possibile che il consumo di un pipistrello arrostito nella città cinese di Wuhan stia facendo traballare un mondo organizzato su meccanismi economici e sistemi di vita che fino a ieri sembravano indistruttibili.
Il “pipistrello arrostito” in realtà è solo l’elemento che ha fatto emergere le troppe storture generate nell’ultimo ventennio dal dominio dei poteri forti, soprattutto finanziari, che hanno governato i mercati mondiali nel nome della globalizzazione. In realtà la globalizzazione ha fatto sì che la creazione del benessere presso la massa dei consumatori (destinatari della strategia egemonica) con esplosione del debito privato e via via sempre più a discapito del debito pubblico di buona parte dei Paesi occidentali, abbia distolto l’attenzione della massa lasciando libertà ai poteri forti di rinforzarsi fino a controllare i mercati.
La globalizzazione, diversamente da quanto si potrebbe sostenere, ha concentrato questi poteri dominati – quasi esclusivamente- dalla finanza che, peraltro, ha trovato un facile “alleato” nella classe politica insipiente, non più al servizio delle democrazie occidentali ma totalmente assoggettata alla volontà delle banche. Sotto l’apparente appagamento dei bisogni dei cittadini nascevano nel frattempo le diseguaglianze sociali dando vita alla enorme crescita di classi sociali sempre più povere, contrapposte ad una sempre crescente ricchezza concentrata nelle mani di pochi soggetti.
L’esplosione dei problemi sociali, che nasce con l’attuale pandemia mondiale, sta per realizzarsi attraverso l’inizio di una fase di crisi economica mondiale che forse non ha precedenti. Il lungo ciclo economico, di grave e perdurante recessione sta per concludersi con l’esplosione delle problematiche, non solo economiche ma anche sociali, che metteranno a dura prova la tenuta degli attuali governi che non sono preparati ad affrontare tale enorme prova a causa della loro impreparazione e approssimazione nel non aver amministrato adeguatamente per lunghi anni la “cosa pubblica”.

L’Europa e il mondo hanno già vissuto dei disastrosi avvenimenti globali come la peste, il vaiolo, la febbre spagnola e due conflitti mondiali uscendone, tuttavia, sempre “interi”, nel senso che le precedenti istituzioni sovrannazionali continuavano a sopravvivere e, anzi, ne nascevano di nuove come la Società delle Nazioni alla fine della Grande Guerra. Invece, in questi giorni abbiamo la sensazione che la globalizzazione e l’Unione Europea, nella migliore delle ipotesi, usciranno con le ossa rotte dalla guerra al Covid -19. Perché questa diversità di reazione e di risultati rispetto ad avvenimenti che sono sostanzialmente uguali.
L’esempio più tangibile di rinascita si verifica dopo l’ultimo conflitto mondiale – che ha visto la vittoria delle democrazie europee grazie all’aiuto militare americano – con l’attuazione del Piano Marshall, ufficialmente European Recovery Program, che fu pensato con la finalità di ricostruire la struttura industriale e produttiva dei paesi europei occidentali e creare nuova ricchezza. L’Europa invasa ma uscita vittoriosa si trovava davanti le macerie e una popolazione provata e, in massima parte, in preda alla fame e povertà. Tutto sommato fu più semplice ricostruire o convertire quasi tutta la struttura economica e produttiva partendo da quel poco che era rimasto. Ora invece le società occidentali si ritrovano non solo impreparate, ma povere o meglio, troppo indebitate. In Italia con una classe politica che ha governato gli ultimi cinquant’anni senza costruire ma sprecando risorse e in assenza di strategie economiche e industriali di crescita, è divenuta via via sempre più impreparata e scarsamente rappresentativa.
La nascita e l’evolversi dell’Unione Europea, che ha concentrato nelle mani dei burocrati le decisioni che spettavano alla classe politica eletta democraticamente, ha dimostrato e mostra la propria inconsistenza nel momento in cui si devono affrontare problemi giganteschi di crisi facendosi trovare impreparata ma, ancora peggio, non compatta; con ciascun Paese schierato l’uno contro l’altro al solo fine di tutelare i singoli interessi. D’altra parte cosa ci si poteva aspettare da una Unione Europea dove di unico c’è solo la moneta, mentre convivono regimi fiscali diversi e concorrenti tra loro; politiche monetarie nominalmente attribuite ad un unico istituto centrale, la BCE, privo del potere di attuare politiche  monetarie e creditizie uniformi e succube della volontà teutonica;    dove sono stati creati strumenti finanziari a sostegno dei Paesi economicamente più deboli che vengono usati contro di essi favorendo l’ingiusto arricchimento di altri; dove  la politica economica e monetaria viene egemonizzata da un unico Paese con la complicità di pochi altri al solo fine di stroncare l’avversario economico per conquistare maggiore dominio sui mercati. Siamo di fronte ad una nuova “guerra” che s’inizia ancora una volta da parte di un Paese la cui tendenza conquistatrice oggi si consuma sui mercati.
Il Covid-19 rappresenta, dunque, il “vaso di Pandora” che, seppure nella sua tragicità, farà emergere finalmente le distorsioni di sistema dalle quali, si spera, si possa trarre insegnamento per poter attuare il cambiamento.

Dopo la prima fumata nera sull’ipotesi dei coronabond da emettersi da parte della BCE, si ritorna a parlare del MES o patto di stabilità come anche s’inclina a chiamarlo, con toni meno accesi rispetto ad alcuni mesi fa, tant’è che l’unica forza politica ancora attestata sulla linea del Piave del no alla sua firma, pare di capire, è rimasto il M5S, anche a fronte di una condizionalità meno rigorosa. Con parole e concetti accessibili ai non addetti ai lavori, faccia un po’ di chiarezza sull’argomento e, soprattutto, ci faccia capire i meccanismi della “condizionalità” che, per quanto ne abbiamo capito, sembrano i più pericolosi per gli eventuali sottoscrittori.
Il MES intanto è un patto intergovernativo tra 19 Paesi europei dell’area euro, tra cui l’Italia. È una struttura finanziaria, simile ad una banca, la cui alta classe dirigente è autonoma e non dipende dal parlamento europeo; pertanto non espressione della classe politica rappresentativa dei paesi aderenti. Il proprio capitale è sottoscritto da tutti i paesi membri in misura proporzionale ai rispettivi PIL: l’Italia è il terzo Paese sottoscrittore con una quota pari a centoventicinque miliardi di euro, dei quali versati circa quindici. Il restante capitale ancora da versare può essere “chiamato” in qualsiasi momento a discrezione del Comitato Tecnico del MES. Il capitale complessivo è pertanto di settecento miliardi di euro. L’istituto non ha altre entrate e l’eventuale necessità di cassa può essere coperta ricorrendo ai mercati finanziari con emissione di obbligazioni che vengono garantite dagli stessi stati partecipanti. I principali esponenti dotati di potere decisionale e muniti di immunità penale, sono principalmente di nomina tedesca e francese e non vi è alcun italiano.
Gli interventi finanziari di sostegno sono soggetti a “condizionalità”; più precisamente: gli Stati richiedenti non devono essere stati sottoposti a procedura di infrazione; non devono avere avuto un deficit superiore al 3% del PIL negli ultimi due anni; devono avere un rapporto debito/PIL entro il 60% o aver sperimentato un programma di riduzione di almeno 1/20° negli ultimi due anni. Il controllo del rispetto dei parametri viene affidato alla troika (FMI, BCE e MES) che impone le politiche economiche e fiscali che il Paese debitore deve attuare. In virtù di tutto ciò e per comprendere meglio il meccanismo di controllo attuato dalla troika, tutti ricorderemo come fu gestita la crisi greca dal 2012 a seguire; come quel Paese uscì dalla ristrutturazione e come la stessa troika ammise a posteriori di aver attuato una politica di eccessiva austerity tale da distruggere un’intera economia.
Importante aspetto del regolamento MES è quello relativo alla capacità del Comitato Tecnico (al quale non partecipa il rappresentante del Paese debitore) di decidere a maggioranza qualificata, nel corso della durata del finanziamento, di introdurre nuove condizioni o inasprire le altre. Inoltre i crediti verso il paese debitore, nascenti dall’intervento MES, sono “senior”; ovvero sono privilegiati rispetto a tutti gli altri crediti, anche quelli rappresentati dai bond che il Tesoro ricorrentemente emette.
Ciò con le deleterie conseguenze che possono subire le quotazioni dei titoli pubblici in corso o le nuove emissioni. Infine il MES, di regola, può finanziare somme non superiori al 2% del PIL nazionale; nel nostro caso non oltre i trentasei miliardi di euro. Paradossale pensare che a fronte di un aiuto di trentasei miliardi da prendere a debito, l’Italia vanterebbe un credito verso MES di quindici miliardi.  Appare minimo il beneficio che ne potremmo trarre, soprattutto confrontato con gli enormi sacrifici ai quali ci dovremmo piegare.

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Il nostro Paese è il terzo contributore, con la cifra di 125 miliardi di euro, di un organismo finanziario che dal punto di vista istituzionale non fa neppure parte dell’Unione Europea, il MES, e che dovrebbe funzionare come una cassa mutui e prestiti. Questo organismo, però, per aprire i cordoni della borsa in caso di necessità, si comporta come quelle banche che per erogarti un prestito devi dimostrar loro di non averne bisogno, oltre all’imposizione di politiche di risanamento economico lacrime e sangue sul modello Grecia. Visto che, secondo noi, dei coronabond non se ne farà niente per l’opposizione della Germania e che si ritornerà fatalmente a trattare sul MES, lei non ritiene che dopo il coronavirus l’Italia andrà a finire nelle braccia dell’impresentabile sorella maggiore del MES ovvero la troika.
Gli strumenti finanziari intorno ai quali si sta costruendo il difficile accordo tra i governi dei Paesi dell’area euro, sono comunque strumenti di debito. Premesso ciò è pacifico che l’onere di rimborso del debito ricada esclusivamente sul Paese debitore. L’elemento discriminante che vede il netto rifiuto di Germania e Olanda a tale forma di sostegno a “favore”, soprattutto di Italia e Spagna, è apparentemente rappresentato dalla garanzia di rimborso che tutti gli altri Paesi sono tenuti a dare. Pertanto in caso di default del debitore, soprattutto nel caso dell’Italia, il rischio di insorgenza di difficoltà finanziaria è dietro l’angolo dato l’elevato debito pubblico che, dopo l’emergenza sanitaria, si ipotizza possa arrivare al 150% debito/Pil. Voglio però ricordare che la nostra bilancia dei pagamenti fa costantemente registrare un avanzo primario; l’onere del debito, oltre a pesare in termini di valore assoluto, è spesso stato anche appesantito da manovre speculative che hanno generato pressioni sui mercati a discapito di uno spread ingiustificatamente elevato. Perché altrimenti non si spiegherebbe perché in una unione tra Stati, sotto la guida di un’unica banca centrale, si debba ammettere l’esistenza di uno spread come differenza tra titoli di Stato di diversi emittenti. I coronabond, tra gli strumenti invocati, dovrebbero quantomeno godere di tassi contenuti in quanto rapportati al rating dell’unione dei paesi dell’area euro che li garantisce. È nostro auspicio che la volontà di ricorrere al MES venga abbandonata, in quanto il rischio (o quasi certezza) di essere commissariati dalla troika è molto più elevato dei benefici che ne possono derivare.
Mi sembra di capire dal dibattito politico in corso che oggi ci sia una maggiore presa di coscienza dei grossi rischi che incomberebbero sul Paese se si entrasse nel MES. Ritengo che sia più adeguato il ricorso all’emissione di titoli di debito pubblici, sottoscritti dalla BCE a tassi molto contenuti, nell’ambito della recente decisione di derogare – a causa dell’emergenza in atto – all’applicazione dei vincoli restrittivi del patto di stabilità. Considerata anche la significativa consistenza della massa monetaria che la BCE si è dichiarata disposta a riversare sui mercati.

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A volere inquadrare le cose con una certa serenità di giudizio, quali saranno, secondo lei, i limiti oggettivi degli strumenti finanziari dell’Unione Europea per un qualche ristoro alle economie in crisi dei Paesi membri.
Qualsiasi strumento finanziario proposto e attuato nell’ambito UE genererà purtroppo maggiore debito che si sommerà a quello enorme del nostro Paese. D’altronde si potrebbe pensare con toni ottimistici solo allorquando si immaginasse la BCE, quale unica banca centrale dei Paesi dell’UE e anche l’unica in grado di stampare banconote, disposta a sterilizzare buona parte del debito in essere di tutti gli Stati dell’unione. Esattamente come succede con le politiche di ricostruzione post bellica e come sta accadendo negli USA dove è stato annunciato il riversamento sul mercato di duemila miliardi di dollari da parte della FED a sostegno della ripresa economica e degli interventi socio – assistenziali. Lo stesso Mario Draghi, nel passato a capo della BCE, ha sempre ribadito la necessità del contenimento della spesa e della riduzione del debito pubblico, nell’ultima sua intervista ha riconosciuto la forte efficacia che tale forma di sostegno contribuirebbe a dare al rilancio economico.
Per ultimo guardiamo al SURE, acronimo di  Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency ancora in fase di gestazione e che, al di là dei limiti di liquidità che comporta, 100 miliardi per tutti i 27 Paesi UE, dimostra una forte debolezza già fatta emergere dai noti falchi poiché tale strumento verrebbe emesso con la contro garanzia della Commissione Europea, sicché quest’ultima dovrà adottare già dal 2021 una politica di ricapitalizzazione propria. Il che in soldoni vuole significare che i Paesi aderenti dovranno sottoscrivere e versare nuovo capitale in proporzione al PIL di ciascuno. E ancora una volta l’Italia sarebbe chiamata ad intervenire come il terzo più importante Paese sottoscrittore.

Un tempo gli Stati che volevano intervenire a sostegno delle loro esportazioni o sulle importazioni, intervenivano sulla propria moneta rivalutandola oppure svalutandola a seconda dell’obbiettivo che si prefiggevano, e cioè se per favorire le prime o inibire le seconde. Spieghi, per favore, perché la Banca Centrale Europea non potrebbe fare qualcosa del genere per sostenere le economie dei Paesi membri dal momento che qualcosa del genere ha fatto, e con successo, anche l’amministrazione Trump.
La BCE ha finora fatto la funzione di banca centrale ma con scarsi poteri di intervento in autonomia. Quando Draghi introdusse il Quantitative Easing o facilitazione per quantità, si trovò a dovere affrontare la netta contrarietà della Germania, che pure ha beneficiato più di tutti dell’abbassamento dei tassi d’interesse. Il Quantitative Easing in effetti è lo strumento attraverso il quale la BCE emette nuova valuta; lo ha fatto finora per mantenere bassi i tassi di interesse dei titoli emessi da alcuni Paesi come l’Italia sottraendoli così alla morsa speculativa dei mercati finanziari. Fin qui la banca centrale non è intervenuta come prestatore di ultima istanza. La Outright Monetary Transaction o transazione monetaria diretta, altro strumento di intervento della BCE concepito da Draghi vedrebbe sottoscrittore l’istituto centrale in veste di prestatore di ultima istanza, ossia con acquisto dei titoli dall’emittente, altrimenti visto come aiuto di Stato. Tuttavia finora tale strumento non è stato ancora utilizzato. La politica monetaria di BCE si è esaurita attraverso la messa in atto dei sopradescritti strumenti.

E adesso veniamo all’aspetto politico del problema fin qui sviscerato. Coloro che, almeno a parole, si opponevano alla sottoscrizione del MES sponsorizzato invece dalla Sinistra e dal governo erano, fino a qualche mese fa, quei “dannati populisti” del Centrodestra, mentre negli ultimi tempi stiamo assistendo all’inversione delle posizioni: i populisti hanno adottato toni più soffusi, mentre le maggiori bordate all’UE sono partite da Palazzo Chigi e perfino dal Colle. Si tratta di impulsi ribellistici sinceri oppure è soltanto pretattica per arrivare, comunque, all’accettazione del MES e di Mario Draghi a Palazzo Chigi.
Con il governo giallo-verde il M5S era allineato con la Lega contro la firma della riforma del trattato MES, ed era stato dato preciso mandato in tal senso al presidente del consiglio dei ministri e al ministro dell’economia. Con il cosiddetto “Conte 2” l’atteggiamento dei Cinque Stelle è cambiato apparendo più confuso ed imbarazzato che mai, trovandosi a dover venire a compromesso con il PD che invece è sempre stato favorevole alla revisione di tale accordo. L’opposizione ha continuato a battere i pugni sul tavolo opponendosi allo scippo dell’approvazione. Il Colle nel frattempo, colpito da un lampo di orgoglio, ha protestato stigmatizzando il pessimo comportamento delle istituzioni europee a danno del nostro Paese. In realtà Mattarella non poteva far finta di non vedere e sia pure obtorto collo è dovuto intervenire.
A proposito di Mario Draghi a Palazzo Chigi al posto di Conte, lo vedrei nell’ambito di un governo di emergenza che ci traghetti alle elezioni ma che nel frattempo gestisca con competenza la disastrosa crisi sanitaria ed economica in corso. Ricordo tuttavia che Draghi fa parte del consolidato establishment finanziario europeo.

Dopo un mese di sostanziale blocco di quasi tutte le attività economiche e produttive, l’industria e l’economia del nostro Paese ripartiranno come per magia oppure …
Oggi non basta avere il coraggio di difendersi dal coronavirus e dai falchi europei; bisogna avere la consapevolezza della necessità che il Paese abbia un piano di intervento economico e industriale a medio termine per iniziare la ricostruzione post epidemica. Certamente, dopo le prove di incompetenza e di sprovvedutezza alle quali abbiamo assistito dal 31 gennaio ad oggi, non si potrebbe pensare che l’attuale maggioranza possa concludere qualcosa. Si assiste continuamente a battibecchi, smentite, annunci di provvedimenti che improvvisamente cambiano o non vengono messi in atto per mancanza di norme attuative: regna sovrano il caos.

In nome di un ecumenismo patriottico al quale non credono neppure i suoi stessi propugnatori e di fronte a parecchi errori del governo sulla prevenzione/gestione della crisi sanitaria, secondo lei la capacità di critica e la passione politica del Centrodestra non si stanno facendo “sterilizzare” dalle circostanze per il timore di vedersi affibbiare qualcuno degli epiteti così cari al Centrosinistra in questi giorni, tipo sciacallifasci leghistirazzisti.
Il Centrodestra è il fulcro della politica italiana, al governo di molte regioni tra le quali quelle più economicamente importanti. Ha esperienze di governo e i numeri per andare nuovamente a governare, sempre che ci facciano andare a votare. Ha le competenze e le persone in grado di reggere il timone nella tempesta e, credo, anche il coraggio dei cambiamenti. Gli epiteti oramai noti, che si consumano ad ogni occasione, non fanno più effetto sugli italiani. Gli elettori hanno avuto modo di testare sul campo le capacità e la coerenza dei Cinque Stelle; il PD avevano già imparato a conoscerlo prima.

Sicuramente questa crisi senza precedenti nell’ultimo secolo di storia, anche in senso lato si lascerà alle spalle tanti morti e feriti, ma pure qualche Paese che, invece, ne uscirà con le ossa (e le finanze) a posto… l’Italia dove la immagina collocata in questa ipotesi di scenario. E, giusto per terminare l’intervista riallacciandoci a due domande di partenza: crede che il nostro Paese, l’Unione Europea e il mondo ritorneranno al “prima dell’epidemia”.
I Paesi che usciranno da questa pandemia integri, sono coloro che saranno colpiti relativamente dal problema sanitario, quelli che stanno provvedendo ad immettere nel sistema e nel modo giusto un’enormità di liquidità e i furbi (vedi Germania) che avevano già portato il fieno in cascina. Più precisamente la Germania dispone di una banca pubblica, la KFW partecipata per l’80% dallo Stato e per il 20% dai Länder i cui impegni finanziari non vengono conteggiati nel bilancio pubblico tedesco aggirando così i vincoli europei riguardo al patto di stabilità, gli stessi che s’impongono agli altri Paesi dell’UE. Questo artifizio consente alla Germania di attingere indisturbatamente alle casse pubbliche senza dar conto all’UE e lo stanziamento dei 550 miliardi di euro annunciato a sostegno delle imprese deriva proprio da questa surrettizia forma di aiuti di Stato. È facile prevedere che la Germania, insieme a qualche alleato del Nord Europa, creerà più di un problema ai Paesi in crisi come l’Italia, nell’imporre i presupposti finanziari idonei ad ottenere dei finanziamenti… così si realizzerà sul campo, e senza sparare un colpo, l’ennesima vittoria del dominatore tedesco in Europa.

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