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Il nuovo Fronte Popolare

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Fronte Popolare
Mentre in qualche partito del Centrodestra al governo comincia ad aleggiare la sindrome di Fini, l’ex leader di Alleanza Nazionale, il quale ogni volta che apriva bocca era per dare una stilettata a Berlusconi, il capo della coalizione di cui faceva parte (tant’è che divenne il beniamino del comunista Giorgio Napolitano), la Schlein insegue il “campo largo”, una versione improponibile in chiave moderna del Fronte Popolare

– Enzo Ciaraffa –

Quando è diventata segretaria del Pd, Elly Schlein, che ama molto le frasi a effetto, nel discorso iniziale per spiegare la sua inopinata elezione al vertice del maggior partito della Sinistra, ha citato il titolo di un libro della scrittrice femminista americana Lisa Levenstein: “Non ci hanno visto arrivare”. Ebbene, una così dotta citazione lasciava ben sperare per un’intelligente palingenesi del Pd che, magari accostando un po’ a manca, avrebbe aggregato tutta la Sinistra italiana intorno a un moderno patto riformista di chiaro stampo europeo… macché!

La Sinistra che aveva in mente Elly si è, infatti, agglomerata intorno a un progetto vecchio di settantacinque anni, come quel Fronte Popolare che nelle elezioni politiche del 1948 vide insieme i comunisti e tutte le declinazioni del socialismo uniti contro la Democrazia Cristiana. Il risultato fu che dopo un’accesa – a tratti anche violenta – campagna elettorale, il partito di De Gasperi stravinse le elezioni con il 48,5% dei consensi, mentre loro ottennero soltanto il 32,1% e, salvo alcuni spostamenti percentuali, la Democrazia Cristiana godette di questo gap fino alla sua scomparsa sotto la mannaia di “Mani Pulite”.

Ma, a quanto pare, il precedente storico non ha insegnato niente alla Schlein, a Fratoianni, a Bonelli e a Landini che, imperterriti, continuano a inseguire il mito del Quarantotto, non riuscendo – come tutti i malati ideologici – a guardare in faccia la realtà e a realizzare che sono cambiati i tempi, è cambiato l’utente delle politiche riformiste, è cambiata la stessa ragione sociale della “ditta” che nel frattempo è passata dal ruolo di paladina della causa dei ceti sociali deboli a difenditrice dell’establishment nazionale ed europeo, il quale, essendo detentore del potere economico e politico, è il nemico storico di quegli stessi ceti sociali. E, infatti, continuano a perdere le elezioni.

Ma proprio per questa ragione, un’alleanza strategica con quelli che oggi sono i campioni ufficiali di tale establishment pur professandosi di sinistra, Renzi e Calenda, sarebbe stata provvida perché avrebbe guadagnato al Pd il favore dei moderati di sinistra (in pratica gli ex diccì) che in Italia non sono pochi, surclassando il consenso del quale ancora gode il suo principale competitor: il M5S. E, invece, in una “romantica” fuga all’indietro, Elly ha pensato bene di farne un alleato tattico come nelle elezioni regionali in Molise puntualmente perse, non capendo neppure questa volta che il “campo largo”, da mesi evocato e mai concretizzatosi, è destinato a produrre risultati fallimentari perché ambedue i partiti attingono allo stesso bacino elettorale e, pertanto, il saldo finale rimane invariato. Come si può già intravedere dalle percentuiali di voti che in queste ore stanno uscendo dalle urne molisane.

Sorvolando su amenità come l’assoldamento di un’armocromista da trecento euro l’ora e sul fatto che, secondo lei, prima di salvare chi sta morendo in mare (come i quattro passeggeri milionari del mini sommergibile Titan), bisognerebbe chieder loro l’esibizione della dichiarazione dei redditi, possiamo ben sostenere che la Schlein, in appena novanta giorni da segretaria ha portato il Pd sull’orlo di una scissione e, più che attrarre i vecchi arnesi della sinistra non ha fatto, non è riuscita neppure a redigere un programma politico che non fossero i soliti luoghi comuni dei cortei studenteschi del Sessantotto.

E tutto questo mentre in qualche partito del Centrodestra al governo comincia ad aleggiare la sindrome di Fini, l’ex leader di Alleanza Nazionale il quale ogni volta che apriva bocca era per dare una stilettata al capo della coalizione di cui faceva parte, Berlusconi, tant’è che divenne il beniamino del presidente comunista Giorgio Napolitano che odiava il Cavaliere e non vedeva l’ora di toglierselo dalle palle. Poi, travolto dallo scandalo della casa di Monaco, sparì anche Fini dalla scena politica nazionale. Eppure, siamo persuasi che due dilettanti allo sbaraglio come Elly e Giuseppi, nonostante il poco edificante spettacolo offerto dalle forze di governo in queste ore, non riusciranno a realizzare il “campo largo”, avendo contro di loro: incompetenza, accesa competitività, massimalismo e sfiga.

La sfiga? Una nuova variabile della già malmessa politica italiana?

Oddio, ammetto di non essere scientificamente versato in questo campo e, nondimeno, essendo di origini campane, a riguardo sono tendenzialmente dello stesso avviso del protagonista di una commedia di Peppino De Filippo: “Non è vero ma ci credo”. A riguardo, è fattuale che nei giorni scorsi la scorta del capo presuntivo dei grillini, Giuseppe Conte, abbia provocato un incidente automobilistico sull’autostrada A1, mentre poche ore dopo l’auto rigorosamente diesel (e quindi inquinante!) di Nicola Fratoianni, leader di “Alleanza Verdi e Sinistra”, prendeva fuoco sulla strada per il Molise dove stava andando a siglare il cosiddetto patto della limonata con Conte e la Schlein. Un segno d’imperscrutabili forze negative? La jella che si preannunciava ancor prima dell’apertura delle urne? Ma no, suvvia, siamo nel XXI secolo!

E mentre scrivo queste cose – lo giuro sulla simpatia che nutro per Elly! –  ho tutte e due le mani sulla tastiera del computer, lontane dai… talismani. Ma che fatica resistere a una grattatina quando si parla di sfigati!

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