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Putin è diventato un bravo guaglione?

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bravo guaglione
Pur evidenziando soddisfazione per il cul de sac in cui è andato a infilarsi Putin con l’invasione dell’Ucraina, dopo l’alzamiento dei mercenari della Wagner vari capi di Stato e personalità politiche occidentali hanno via via avuto toni più sfumati sulla sua permanenza al potere, augurandosi di non cadere dalla padella alla brace. Insomma, anche se nessuno di loro l’ha detto apertamente, Putin sembra essere diventato una malattia inevitabile, come il morbillo prima dell’adolescenza, per proteggere la sopravvivenza dell’umanità dall’olocausto nucleare

– Enzo Ciaraffa –

Nel corso della mia lunga e articolata carriera militare – che fossi comandante oppure comandato – ho sempre diffidato e negativamente valutato gli ufficiali emotivi, anzi posso dire che temevo l’emotività molto più dell’indisciplina! E ciò per una ragione semplice: l’indisciplinato può diventare un ottimo comandante di uomini al cospetto del pericolo e delle responsabilità derivanti dal comando, perché quasi sempre egli possiede una visione disincantata dell’esistenza e una mentalità molto elastica che gli consente di non farsi trovare mai impreparato dalla situazione sul terreno. L’ufficiale emotivo, invece, è condizionato dalle sue emozioni e dalla rigidità psichica, infatti a lui non affiderei neppure la responsabilità di una squadra di militari disarmati in tempo di pace… ahimè, nella selezione della sua classe dirigente, il sistema di potere occidentale non segue gli stessi criteri di valutazione.

È almeno dal 24 febbraio del 2022, cioè dal giorno dell’invasione dell’Ucraina, che gli osservatori occidentali, vale a dire politici, servizi segreti, analisti e giornalisti – scambiando i loro desideri con la realtà – hanno “diagnosticato” al sanguinario presidente della Federazione Russa, Vladimir Vladimirovič Putin, ogni tipo di accidente fisico che fosse capace di farlo scomparire dalla scena politica, come l’Alzheimer, il tumore, la leucemia e il Parkinson. Oddio, il soggetto in questione certamente non è normale, però non pare che soffra di una delle elencate malattie: la verità è che non vedevamo l’ora di togliercelo dalle palle, sperando che la sua scomparsa potesse porre termine a una sanguinosa guerra di aggressione appena fuori l’uscio della nostra casa europea. Poi, all’improvviso, Vladimir Vladimirovič è diventato quasi un bravo guaglione che, in fondo, è giusto che resti dov’è. 

Ciò che ha provocato questa repentina palingenesi è stata la rivolta del capo della Divisione di mercenari “Wagner” ausiliari delle (incapaci) forze armate regolari russe, il noto faccendiere Yevgeny Prigozhin, il quale si è ribellato al suo mentore Putin ritenendolo responsabile di una guerra di aggressione inutile, ma alla quale aveva allegramente partecipato fino al giorno prima con i suoi tagliagole. L’alzamiento è partito da Rostov, una città di oltre un milione di abitanti posta sulla riva destra del fiume Don, a un migliaio di chilometri da Mosca.

In Occidente, almeno fino a questo momento, non si è capito molto di quanto è accaduto realmente negli ultimi quattro giorni in Russia e, tuttavia, si continua a tranciare giudizi e a fare previsioni, ma noi, che non siamo versati in questo tipo di esercizio, ci soffermiamo su due oggettive osservazioni.

La prima osservazione. A contrastare la marcia su Mosca dei mercenari di Prigozhin, lungo un tragitto di mille e passa chilometri, non s’è visto neppure un caporale dell’esercito regolare russo: gli unici ostacoli passivi erano i camion e le betoniere civili fatte mettere di traverso sulle strade da alcuni sindaci. E i cavalli di frisia, le postazioni, i caccia a volo radente per fermare la colonna dei rivoltosi? Neppure a Mosca, che stava per essere aggredita, si sono visti soldati in assetto di guerra, ma soltanto poliziotti intenti a preparare barricate. Ma dove diavolo era finito l’esercito?

La seconda osservazione. La popolazione russa, almeno quella di Rostov, tifava apertamente per i mercenari della “Wagner”, e questo ci porta a pensare che l’attuale inquilino del Cremlino, il presunto bravo guaglione, non sia così amato da suoi connazionali come la propaganda vorrebbe farci credere.

Poi pare che a ripristinare la legalità statale (sic!) sia intervenuto un personaggio che di più dittatoriali non ne esistano, anche se dittatore di serie B, ossia il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko, il quale avrebbe indotto Prigozhin a fermare l’avanzata delle truppe ribelli a duecento chilometri da Mosca e rifugiarsi da lui, dal compare del suo nemico… probabilmente gli farà fare la fine che Tolomeo destinò a Pompeo che si era rifugiato presso di lui in Egitto per sfuggire a Cesare.

A proposito dell’emotività, la peste per coloro che hanno responsabilità di comando e di governo del mondo, negli ultimi quattro giorni abbiamo assistito a un ennesimo salto della quaglia della diplomazia occidentale, la quale, prima che i wagneriani facessero un inverecondo dietrofront “Per evitare un bagno di sangue russo”, ha cominciato a realizzare che l’eventuale sostituzione del bravo guaglione Putin con Prigozhin avrebbe complicato il quadro generale della sicurezza internazionale, peggio ancora se come conseguenza della sua caduta si fosse polverizzata la Federazione Russa (evenienza questa affatto inverosimile) assieme ai suoi seimila ordigni nucleari. E allora, pur evidenziando soddisfazione per il cul de sac in cui si è andato a cacciare Putin con l’invasione dell’Ucraina, diversi capi di Stato e personalità politiche occidentali hanno via via avuto toni più sfumati sulla sua permanenza al potere, augurandosi, evidentemente, di non cadere dalla padella alla brace. Insomma, anche se nessuno di loro l’ha detto apertamente, Putin pare essere diventato una malattia inevitabile come il morbillo prima dell’adolescenza ma, tutto sommato, un bravo guaglione.

Allora, deve cadere per far cessare la guerra in Ucraina? O deve rimanere al suo posto per evitare l’implosione della Russia potenza nucleare? Nessuno lo sa, nessuno lo dice. Temo che andremo avanti così, zombando da una valutazione all’altra, sull’onda emotiva chissà per quanto tempo.

Mentre in Russia il magma inizia a salire verso la superficie, sono del parere che l’Occidente debba mantenere i nervi saldi, reprimere le valutazioni emotive e continuare a sostenere l’Ucraina con ogni mezzo, perseguendo l’obiettivo finale di recuperare la Russia in chiave anticinese. E anche se oggi i due obiettivi sembrano distanti anni-luce, tra qualche anno potrebbe non essere più così.

Chi, dopo il 1945 avrebbe scommesso un centesimo bucato sull’ipotesi che la più grande sovvertitrice della pace in Europa, la Germania, sarebbe stata tra le fondatrici dell’Europa Unita?

(Copertina di Laura Zaroli)

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