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Giorgia Meloni e il “ban” da Mediaset: libertà di stampa dove sei?

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Giorgia Meloni
Non vogliamo vivere in un Paese dove esiste la possibilità che un tal dei tali si svegli una mattina con la luna storta e decida di cancellare dal circuito mediatico un partito o un leader politico per un suo ghiribizzo. Peraltro, già adesso la cronaca politica, che sorregge la narrazione del sistema, è diventata una specie di chanson de geste se riferita agli amici degli amici, una di lista di proscrizione per i nemici politici

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È un fatto: non appena Giorgia Meloni ha dichiarato di non dover nulla a Berlusconi dal punto di vista politico, è sparita dalle reti Mediaset assieme al suo partito. Infatti, immediatamente dopo la sua affermazione, il previsto intervento dei deputati di FdI quali Galeazzo Bignami, Elisabetta Gardini e del co-fondatore del partito, Crosetto sono stati cancellati da alcuni programmi di approfondimento dalle reti del Cavaliere, per il diretto intervento (si dice) del medesimo. Noi non sappiamo di preciso come siano andate realmente le cose, però i tempi e le coincidenze sono sospetti, sicché siamo andati a fare una verifica sul terreno come si suol dire.

Ebbene, nel Tg4 delle ore 19,00 di sabato 5 febbraio e nello Studio Aperto delle ore 12,30 di domenica 6 febbraio su Italia 1, Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia sono praticamente spariti dai radar. Un impercettibile accenno a Fratelli d’Italia nel Tg5 delle ore 13,00 di domenica 6 febbraio, in cui la conduttrice è riuscita nella titanica impresa di accennare alla crisi del Centrodestra senza mai nominare Giorgia Meloni, che ne era la principale componente. Tuttavia, a preoccuparci non è stata tanto la probabile fatwa lanciata da Berlusconi contro Giorgia Meloni e un partito politico che, nonostante le sue diverse trasformazioni, è presente in Parlamento fin dalla nascita della Repubblica italiana, quanto la nonchalance con la quale ne hanno parlato alcuni media nostrani invece di indignarsi per un’evenienza che, vera o inventata che sia, dovrebbe preoccupare, perché se le cose stessero veramente così, non v’è dubbio che sarebbe in atto un’azione da regime.

E noi neppure in ipotesi vogliamo vivere in un Paese dove esiste la possibilità che un tal dei tali si svegli una mattina con la luna storta e decida di cancellare dal circuito mediatico un partito o un leader politico come, in questo caso, FdI e Giorgia Meloni. Già non se ne può più adesso della partigianeria dei media a supporto del “sistema”, che è diventata una specie di chanson de geste, se riferita agli amici degli amici, una lista di proscrizione invece per i nemici.

Per carità, anche questo blog, che è liberal conservatore per definizione, ha le sue simpatie politiche, ma con un vantaggio sulle corazzate mediatiche: essendo autofinanziato, nel suo piccolo, può riferire con una certa obiettività i fatti o le cose nelle quali crede senza dover rendere conto a nessuno… almeno fin quando i pretoriani del sistema ce lo consentiranno. E sì, perché oggi chi fa giornalismo online è costretto ad operare con circospezione (e la circospezione è il cancro della libertà di pensiero) se non vuole essere cancellato dai social, per non aver rispettato gli standard di comunicazione, o per evitare che la Polizia postale gli blocchi il blog e vada a rovistare nella memoria del suo computer come fosse quello di un mafioso o di un terrorista.

Ma com’è che ci siamo ridotti a questo? Possibile che la libertà di poter raccontare la realtà è diventata un lusso che bisogna pagarsi e neppure questo basta? Probabilmente ci siamo ridotti così a causa del nostro sottile spessore morale che ci porta a sbandierare valori civili senza professarli e, a ogni piè sospinto, a tirare in ballo la Costituzione senza averla mai letta. È stato anche per questa leggerezza dell’essere, per la nostra indole credulona e accomodante che si è venuto a creare il corto circuito del sistema dell’informazione, aggravato dal fatto che esso, ormai, è in mano a quattro/cinque gruppi, ognuno con i suoi interessi da difendere, anche se il gruppo più politicizzato è quello che meno dovrebbe esserlo, in quanto si mantiene con danaro pubblico, cioè la Rai.

Sebbene con un settennato di ritardo, lo stato in cui versa l’informazione, oltre a noi, deve aver fatto schifo anche al riconfermato presidente della Repubblica, che pure si sta godendo i vantaggi della santificazione da parte dei media, se questi nel discorso d’insediamento ha pensato di dover menar botte da orbi anche all’informazione: «Dignità è garantire e assicurare il diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente». Se non proprio indipendente, almeno decente, aggiungeremmo noi.

La verità è che nessun editore ha interesse a rendere etica la politica italiana attraverso una corretta ed incalzante informazione, anzi…, e ciò anche per una difficoltà oggettiva del sistema: come tutti i poteri fatiscenti, quello nostro ha distrutto gli anticorpi occorrenti per poter neutralizzare la degenerazione di un già malfermo modello di democrazia. E uno di questi anticorpi era appunto l’informazione libera. Pertanto, venuta meno l’indipendenza degli organi d’informazione dalla politica e la loro capacità/volontà di saper svelare le magagne dei governi inefficienti e corrotti, onde favorire la formazione di una pubblica opinione, l’unica palingenesi delle istituzioni del nostro Paese, Parlamento in testa, ammesso che ciò sia ancora possibile con le buone, può avvenire soltanto attraverso un movimento di popolo senza violenza, capace magari attraverso il boicottaggio di creare un precedente che faccia scuola, che ricordi a chi sarà delegato a governarci che può sempre essere chiamato a pagar dazio per le sue azioni. Stiamo, per caso, parlando di una rivoluzione? Sì, se vogliamo provare a dare la sveglia alle nostre coscienze e alla peggiore classe politica della storia d’Italia, bloccando nel contempo il neo-fascismo dei danarosi dittatorelli e d’istituzioni che hanno reso la nostra democrazia la barzelletta più raccontata nelle cancellerie dei governi europei.

E ciò è stato possibile grazie anche a una generazione di giornalisti che continua a somigliare sempre di più a quella che nel 1922 accompagnò dolcemente il fascismo alla presa del potere. Ebbene, per diventare almeno credibile, il giornalismo italiano dovrà essere pronto a ripercorrere la stessa strada di Piero Gobetti, Giovanni Amendola, Carlo Merli, Enzio Malatesta e Giancarlo Siani che diedero la vita per poter riaffermare quei valori di libertà intellettuale e di onestà professionale che, in combutta con la classe di potere, molti giornalisti nostrani calpestano senza alcun ritegno, alterando anche il loro ruolo… i narratori diventano protagonisti! Come, peraltro, sta a dimostrare la transumanza di sempre più giornalisti professionisti nella politica.

Secondo noi, valgono per i giornalisti le stesse domande che valgono per i magistrati in politica: furono equidistanti quando facevano il loro lavoro?  E se lo furono, lo saranno ancora quando, finito il mandato parlamentare, ritorneranno alla vecchia occupazione?

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