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Giorgio Napolitano, un ricordo senza pathos

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Napolitano
La longevità non giova ai politici di un sistema come il nostro e, dopo Giulio Andreotti, il presidente appena decesso è stato il politico più longevo della prima e della seconda repubblica, con la differenza che, mentre il divo Giulio era stato un democristiano già in fasce, lui divenne comunista mediante un percorso politico iniziato quando il fascismo era ormai spacciato,  con una tempistica alquanto sospetta

– Enzo Ciaraffa –

È morto Giorgio Napolitano e sul piano personale me ne dispiace anche perché lo incontrai, una prima volta, quando lo ricevetti al Salone Estense di Varese, il 21 marzo del 2011, dove assieme all’allora sindaco di Solbiate Olona e in collaborazione con la Prefettura organizzai una mostra a tema in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. L’anno dopo fui suo ospite al Quirinale. A ciò aggiungo che, in virtù del suo ufficio, Napolitano firmò due delle tre onorificenze al merito della repubblica italiana delle quali sono stato insignito negli anni. Ma ciononostante il mio giudizio politico sul quasi centenario ex presidente non è positivo, anche perché la longevità non giova ai politici di un sistema intrallazzone come il nostro e, dopo Giulio Andreotti, Napolitano è stato il politico più longevo della prima e della seconda repubblica. Le differenze tra i due, però, erano parecchie perché, mentre il divo Giulio era stato un democristiano già in fasce, lui divenne comunista mediante un percorso politico iniziato con una sospetta tempistica: dopo aver militato in gioventù nei Gruppi Universitari Fascisti, solo nel 1944, quando il fascismo era ormai irrimediabilmente spacciato, approdò al Partito Comunista del quale, dopo la guerra, divenne un modesto dirigente locale.

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Nel 1953 Napolitano iniziò la carriera di parlamentare in servizio permanente, una carriera durata quasi ininterrottamente fino al 2015, tra mandati al parlamento nazionale, a quello europeo e alla presidenza della repubblica. Oddio, non è che spiccasse molto nell’empireo comunista anche se, ogni tanto, se ne veniva fuori con qualche presa di posizione della quale, anni dopo, si sarebbe pentito. Come quando nel 1956 l’Unione Sovietica represse sanguinosamente i moti ungheresi con migliaia di morti e lui se ne compiacque pubblicamente, sostenendo che l’Urss aveva «Evitato che l’Ungheria cadesse nel caos». Credo che Putin abbia detto, sostanzialmente, le stesse cose quando ha ordinato l’invasione dell’Ucraina.

Un tempo il Pci sovrabbondava di cosiddetti cavalli di razza e di figure mitologiche come Togliatti, Amendola, Longo, Ingrao, Pajetta, Secchia e Natta, mentre Napolitano era compreso tra le figure di terzo piano del partito, quelle che dovevano accontentarsi di incarichi minori, come ad esempio la segreteria della federazione comunista di Napoli e, anni dopo, la presidenza della Camera, un incarico prestigioso sotto il profilo istituzionale ma che non conta niente politicamente.

Com’era suo stile, Napolitano cacciava la testa fuori dal sacco soltanto quando era sicuro di non correre pericoli, sicché alla morte del gran capo del Pci, Palmiro Togliatti, fu tra coloro che propugnarono il ritorno alla collaborazione con i socialisti italiani, chiamati per questo “miglioristi”, un migliorista che però frequentò il dittatore romeno Ceausescu…

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Tuttavia, Napolitano dovette attendere la morte di un altro segretario del PCI, Enrico Berlinguer, per cominciare ad emergere nel suo partito, poiché il defunto segretario non lo aveva in grande estimazione, specialmente dopo che il presidente emerito si era detto a favore dell’installazione in Italia dei missili USA, contro i quali si era schierata la linea ufficiale del Partito Comunista.

Quelle di Presidente della Camera dei Deputati nell’XI legislatura, di Ministro dell’Interno nel primo governo di Romano Prodi e di europarlamentare, furono cariche che Napolitano ricoprì senza infamia e senza lode e, anzi, per un certo tempo se ne perdettero le tracce.

Lo ritroviamo il 17 marzo del 2004, all’aeroporto di Bruxelles, inseguito dall’inviato di una rete televisiva tedesca mentre, approfittando di alcune facility concesse ai parlamentari europei (nihil novi sub sole), stava facendo la cresta sui rimborsi dei biglietti dell’aereo. Evidentemente certi vizietti della sinistra in Europarlamento non sono iniziati con Panzeri & C. . Per un fatto del genere negli USA, od in qualsiasi altro Paese serio, per lui sarebbe stata la fine della carriera politica, invece l’anno dopo fu nominato senatore a vita. E, come se non bastasse, arrivò alla massima magistratura dello Stato, diventando l’11° presidente della Repubblica Italiana. Che volete, in Italia se sei di sinistra ti abbuonano tutto, se invece sei di destra non ti perdonano neanche una sigaretta fumata nelle pause di lavoro.

Il settennato di Napolitano non fu immune da sospetti di familismo, oltre a essere stato caratterizzato da una crescente interferenza sull’Esecutivo, come traspare dal libro dato recentemente alle stampe dall’ex presidente francese Sarkozy “Le temps des combats”, segnatamente all’esautorazione di Berlusconi dall’incarico di capo del governo, avvenuta nel 2011 dopo una concertazione tra Francia, Germania e, parrebbe, il Quirinale. Ebbene, se le cose andarono veramente così, un Parlamento geloso delle proprie prerogative avrebbe dovuto mettere quel presidente della Repubblica in stato d’accusa per alto tradimento e attentato alla Costituzione.

Siccome questo non avvenne, Napolitano si acconciò molto volentieri all’idea di diventare il crocevia di ogni decisione politica importante, in merito alle scelte legislative, ai rapporti tra politica e giustizia, alle missioni militari all’estero, agli impegni nei confronti di una Unione Europea in verità non molto amata dai cittadini, instaurando un surrettizio presidenzialismo. Ma così, senza rendersene conto, Napolitano, con il suo essere di sinistra più che super partes, stava gettando le premesse proprio per la rovina della “sua” casa madre, la quale, una volta andata a finire nella mani di una ragazzotta post-sessantottina, e non potendo più contare sulla sfacciata rete di protezione del Quirinale, dell’Unione Europea e della Magistratura, è stata sbaragliata nelle urne dal partito della Meloni.

Nonostante il mio franco giudizio su di lui, non ho per niente condiviso l’incivile asprezza che sui social è montata, in questi ultimi giorni, contro Giorgio Napolitano morente. E poi perché, egli in fondo è stato soltanto un uomo del sistema o, se preferite, il protagonista di una commedia scritta per attori di ben altra caratura.

La colpa che possiamo attribuire a Napolitano-presidente è quella di aver troppe volte chiuso gli occhi di fronte alle malefatte dei governi e del Parlamento, invece di richiamarli alle loro responsabilità storiche e politiche: ad esempio, avrebbe dovuto rinviare alle Camere leggi fatte con i piedi come il Rosatellum, minacciandone perfino lo scioglimento in caso di inanità, come dire prendere delle decisioni eccezionali per un momento eccezionale. Ma, purtroppo, i mediocri raramente sanno adottare decisioni eccezionali, anche perché bisognerebbe ricordare che all’epoca l’inadeguatezza del Parlamento ed il suo immobilismo erano fin troppo evidenti, e la riprova arrivò il 20 aprile del 2013 quando, allo scadere del suo settennato – fatto pressochè inedito nella nostra storia repubblicana – Napolitano fu eletto per la seconda volta alla presidenza della repubblica, perché il Parlamento si era rivelato incapace di scegliere il suo successore.

La verità è che una democrazia in grave affanno, e una situazione economica difficilissima, in aggiunta ai guasti provocati da tre generazioni politiche da incubo, richiedeva un disinteressato gigante al Quirinale e, purtroppo, Napolitano gigante non è mai stato. Se qualche volta lo è sembrato è stato soltanto perché si rapportava con i nani della politica.

Ovviamente, e con sincerità, auguriamo all’ex presidente delle repubblica un sereno viaggio nell’aldilà, quale che fosse il suo credo religioso, quale che sia stata la sua meta ultraterrena.

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