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Forse è già tardi

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Fratelli Musulmani
Adesso che l’Europa vorrebbe correre ai ripari sull’immigrazione non riesce a trovare un minimo di coesione al suo interno, regalando così i governi degli Stati membri agli estremisti anti immigrazione. Forse dovremmo prepararci al peggio che, per quanto ci riguarda, è stato fino a oggi evitato soltanto grazie alla superlativa capacità delle nostre forze di sicurezza e di Polizia

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Alcuni mesi fa il governo francese ha commissionato ai servizi segreti un rapporto completo sull’organizzazione islamista dei “Fratelli Musulmani” e le sue diramazioni operanti in Francia. Ebbene, quel rapporto era così segreto che nei giorni scorsi è arrivato prima sulla scrivania del direttore del quotidiano Le Figaro che su quella del presidente Macron, il quale ne avrebbe dovuto parlare al Consiglio di Difesa. Da quanto si è potuto capire, il rapporto dei servizi d’Oltralpe doveva far luce sui misteriosi finanziamenti che dall’estero giungono copiosi ai Fratelli Musulmani in Francia e alla loro capacità infiltrativa nelle istituzioni e nella società, col conseguente radicarsi della Sharia in uno Stato nazionale che troppo tardi si è accorto di stare a perdere la sua storica aconfessionalità. Per quanto la galassia islamista ci abbia abituati ad un continuo fiorire di sigle terroristiche, qualcuno tra i lettori si starà domandando da dove saltano fuori questi Fratelli Musulmani. Però, prima di andare a vedere da quale recesso medievale essi siano venuti fuori, sarà bene accennare ai cinque punti fondamentali del loro programma che è… tutto un programma: «Dio è il nostro fine – L’Inviato è il nostro modello – il Corano è la nostra legge – il Jihad il nostro cammino – il Martirio il nostro desiderio».

Strano a dirsi, ma questa associazione religiosa dell’Islam politico è nata in quello che a noi occidentali oggi sembra il Paese musulmano più laico e livellato dal punto di vista politico, culturale e sociale: l’Egitto. Infatti, l’omogeneità etnica e la pacifica convivenza religiosa tra musulmani e cristiani copti farebbero pensare a una marcata identità nazionale e a una solida integrazione culturale, invece non è così, non è mai stato così. Per dodici secoli, da quando l’esercito arabo di Amr ibn al-As conquistò l’Egitto, fino all’avvento al potere nel 1805 di Mohammad Alì Pasha, il greco-albanese che fondò il moderno Stato egiziano, all’ombra delle piramidi ha prevalso l’identità islamica ma anche alcune sue interpretazioni. Ciò perché l’iniziatore della dinastia che vi governò fino al 1952 fu l’emblema perfetto di una complessa e contraddittoria identità che a stento riusciamo a definire nazionale: fu tradizionalista perché continuò a riconoscere l’autorità del decadente califfato ottomano; fu modernista perché aprì l’Egitto ai valori e alla tecnologia occidentale. Ma le contraddizioni di Mohammad Alì non erano molto diverse da quelle dei leader musulmani attuali perché, secondo gli islamisti, chi governa lo Stato musulmano deve tendere, innanzitutto, a realizzare i precetti del Corano, un testo sacro che vede il mondo come lo vedeva Maometto nel VII secolo dopo Cristo.

Purtroppo, i governanti e gli uomini di pensiero musulmani, che hanno cercato d’interpretare in senso moderno questa arcana visione, hanno fatto una brutta fine: ricordiamo il presidente Anwar Sadat e il mistico egiziano Sayyd Qutb, assassinati dai Fratelli Musulmani per le loro aperture, e Mahmud Taha, condannato a morte dal regime sudanese con l’accusa di apostasia per la medesima ragione. Poi, nel 1978, quando il mondo arabo ruppe i rapporti con l’Egitto a seguito dei suoi accordi con gli israeliani a Camp David, il presidente Sadat pensò di creare un diversivo per l’opinione pubblica egiziana e per la congrega dei Fratelli Musulmani – che quell’accordo non amavano – proponendosi come l’esaltatore delle radici faraoniche del Paese, insomma proponendo una sorta di grandeur in salsa egiziana. Ma un tale tentativo era destinato a fallire perché proprio Sadat, una volta salito al potere, per neutralizzare i vecchi dirigenti nasseriani di orientamento comunista, cioè materialisti, non aveva esitato a ricorrere al sopito mito di quell’Islam politico, cioè spirituale (come piaceva ai Fratelli Musulmani) che poi gli si sarebbe rivoltato tragicamente contro. Infatti, furono proprio essi ad assassinarlo.

Il successore di Sadat, Hosni Mubarak, commise lo stesso errore quando, abbandonate le velleità faraoniche del predecessore, pensò di tenere a bada gli integralisti puntando sull’identità araba, anticamera di un panislamismo non meno integralista dei Fratelli Musulmani, sottovalutando peraltro i fermenti  che all’epoca agitavano la società egiziana: un conflitto ideologico e religioso tra laici e teocratici, tra fautori dello Stato di diritto e quelli dello Stato islamico, come dire tra gli islamisti che si riconoscevano in quella sorta di papato sunnita che era diventata l’università Al-Azhar del Cairo e i militari. A oggi sono stati i militari ad aver avuto partita vinta perché, dopo la deposizione del presidente eletto Mohammed Morsi, il generale Al – Sissi è diventato il quinto presidente egiziano, dei quali uno soltanto non militare e democraticamente eletto. Ma la calma in Egitto è soltanto apparente perché, se oggi vi si svolgessero elezioni politiche veramente libere, gli integralisti conquisterebbero il potere, innescando così un’altra polveriera capace di esplodere da un momento all’altro. È per tali motivi che, come molti governi islamici, quello egiziano non soltanto non combatte l’emigrazione clandestina, ma addirittura la incoraggia perché non ha convenienza a tenersi in casa elementi turbolenti e potenzialmente eversori.

Il guaio è che, poi, quegli elementi vengono scaricati sulle coste di un‘Europa che troppo tardi ha capito (se l’ha capito) di stare a suicidarsi con l’accoglienza acritica e indiscriminata delle masse di disperati che stanno invadendo il Vecchio Continente. Per quanto ci riguarda tale invasione sta avvedendo a tenaglia, ovvero calando dal Nord, dalla porta di Trieste, e proveniente dal Nordafrica, risalente dal Sud. E adesso che l’Europa vorrebbe correre ai ripari, non riesce a mettersi d’accordo al suo interno dove le Sinistre si sono votate al suicidio in nome di principi che con la realtà non c’entrano un cazzo, regalando così i governi degli Stati membri agli estremisti anti immigrazione che sono anche antieuropei. Certamente non sarà la Francia di Macron a mutare tale scenario e forse dovremmo prepararci al peggio che, per quanto ci riguarda, è stato fino a oggi evitato soltanto per la superlativa capacità delle nostre forze di sicurezza. Fino a quando?

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