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Ernestina Paper

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Ernestina Paper
Quando la studentessa ebrea Esterina Paper vi arrivò, Firenze era la città più moderna della penisola perché aveva cessato da appena qualche anno di essere la capitale d’Italia e, come a Odessa sua città natale, ci viveva una nutrita colonia di stranieri innamorati dell’arte e degli ameni paesaggi della Toscana

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Grazie alla scrittrice Andelon Curse, pseudonimo di Lisa Romanò, mi sono trovato tra le mani un francobollo con il quale le Poste Italiane hanno voluto ricordare Ernestina Paper perché, è riportato sul bollo, “Prima donna laureata in medicina dopo l’Unità d’Italia”. Molto poco come informazione per non porsi l’interrogativo di don Abbondio volto al femminile: chi è costei? Così, dopo qualche mirata ricerca, posso esordire scrivendo che le vere generalità della francobollata erano Ernestina Puritz-Manassè, nata a Odessa nel 1846 da Michele e Sara Ritter, entrambi appartenenti alla buona borghesia ebraica. All’epoca questa città sul Mar Nero (che era stata fondata dall’ammiraglio ispano-napoletano Giuseppe De Ribas una cinquantina di anni prima) era un porto franco e questa caratteristica commerciale ne aveva fatto un affollato crocevia di scambi tra l’Asia e l’Europa, oltre che una città cosmopolita, la quale, anche sotto l’aspetto culturale, era la più effervescente dell’impero zarista. Vantava una forte presenza di tatari, russi, ucraini, tedeschi, armeni, turchi, italiani, ebrei, polacchi, greci, francesi e inglesi, anche se la comunità più apprezzata e folta era quella italiana. Ma quel melting pot non deve trarre in inganno perché a Odessa, come in tutta la Russia d’altronde, per i più futili motivi e per ataviche superstizioni scoppiavano tumulti e persecuzioni contro gli ebrei, i famigerati pogrom, non di rado con la complicità delle stesse autorità locali. L’ultimo pogrom c’era stato nella settimana di Pasqua del 1821, non molti anni prima che Ernestina venisse al mondo. Ma per gli ebrei non v’era soltanto questo limite perché in quegli anni, allo stato di precarietà nel quale essi erano costretti a vivere, si dovevano sommare pesanti imposizioni, come una limitata percentuale di accesso dei maschi nelle università e l’impossibilità assoluta per tutte le donne, comprese quelle russe, di poter accedere all’istruzione universitaria. Insomma, anche nella moderna Odessa arrivavano (e stridevano più che altrove) le contraddizioni di un impero, quello zarista, che aspetterà il 1861 per abolire la più medioevale delle istituzioni: la servitù della gleba.

Fu per tale ragione che, una volta terminati gli studi superiori a Odessa, nel 1870 Ernestina s’iscrisse alla facoltà di Medicina dell’Università svizzera di Zurigo che frequentò fino al 1872, anno in cui si trasferì in Italia dove lo Statuto vigente non vietava l’accesso delle donne nelle università, sebbene lo avesse espressamente affermato soltanto con una legge successiva alla sua emissione. In ogni caso, quelli erano gli anni in cui in Italia la causa delle donne stava vivendo una bella stagione grazie al deputato radicale-mazziniano Salvatore Morelli e ai circoli intellettuali ebraici di Roma e Firenze. Morelli, infatti, era l’autore di due opere che ancora oggi possiamo considerare i pilastri della lotta per l’emancipazione femminile. La prima opera aveva visto la luce nel 1861 e recava un titolo che si spiega da solo: “La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale”. Nel 1867, primo in Europa, Morelli presentò il progetto di legge “Abolizione della schiavitù domestica con la reintegrazione giuridica della donna, accordando alla donna i diritti civili e politici”. Nel 1875 propose l’adozione di un nuovo diritto di famiglia che, purtroppo, verrà introdotto in Italia nel 1975, esattamente cento anni dopo.

In questo clima culturale, che beninteso era piuttosto contenuto territorialmente, Ernestina Paper frequentò il primo triennio della facoltà di Medicina presso l’Università di Pisa dove, sotto le mentite spoglie del signor Brown per poter sfuggire alla polizia sabauda, era appena morto Giuseppe Mazzini ospitato di nascosto dalla famiglia ebrea dei Nathan Rosselli con i quali essa instaurerà rapporti di amicizia e anche di parentela grazie al cugino Sergio Ritter. Finito il triennio universitario a Pisa, nel 1875 Ernestina si trasferì a Firenze dove due anni dopo conseguì la laurea in medicina presso il Regio Istituto di Studi Superiore. In una data imprecisata, forse nel 1874, Ernestina sposò a Odessa l’avvocato Giacomo Paper dal quale prese il cognome. Siccome di questo personaggio se ne perdono le tracce a San Pietroburgo nel 1881, viene da pensare che tra loro fosse intervenuta una separazione di fatto dopo la nascita della figlia Elisa, avvenuta nel 1875. Peraltro, stando alla data di nascita di Elisa e a quella del conseguimento della laurea, dobbiamo dedurre che Ernestina fu una mamma studentessa con figlia a carico.

Una volta laureata, la nostra medichessa come allora si chiamavano le donne-medici, si sistemò a Firenze con la famiglia, in via Venezia 12 al secondo piano dove, stando a un annuncio economico comparso sul giornale fiorentino “La Nazione” del 6 marzo del 1878, aprì anche lo studio medico per donne e bambini. Successivamente, siccome la famiglia si era ingrossata con l’arrivo dei cugini Ritter da Odessa, trasferì lo studio in viale Margherita, oggi via Spartaco Lavagnini.

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Un po’ perché era donna, un po’ perché era ebrea, un po’ perché di buona condizione economica, Ernestina non risentì molto dei limiti professionali che la società del tempo poneva alle donne-medico, trovando perfino il tempo di collaborare con varie riviste come, per citarne una, quella della Società di Antropologia, rivelandosi un’efficace divulgatrice scientifica della pratica igienica in un’epoca in cui tale concetto iniziava appena a farsi strada. Fu anche una precursora nel campo della ginecologia, giacché nel 1884 guarì due casi di amenorrea con l’utilizzo dell’elettricità. Con tali caratteristiche professionali e condizioni familiari, non poteva che essere una sincera filantropa e un’antesignana del femminismo come, beninteso, si poteva esserlo oltre un secolo fa. A riguardo, basta andare sui canali di ricerca dove, con scarsa cura della coerenza in verità, viene riportato che la nostra “…si mosse in ambiti alto borghesi, spesso di cultura ebraica e internazionale, sostenitori di un femminismo laico impegnato soprattutto in attività assistenziali e benefiche: un femminismo sostenuto anche da uomini con solidi contatti politici e massonici, orientato in chiave emancipazionista, sebbene con prudenza. Ella si dichiarò convinta che la donna è nata specialmente per essere moglie e madre, un compito a suo parere da assolvere con una solida formazione di igiene e conoscenza dei fenomeni naturali; tuttavia riteneva, allo stesso tempo, che certe carriere professionali dovessero essere agevolate alla donna, soprattutto per coloro che vogliono o siano in necessità di prescegliere un modo di vita e di lavoro diverso da quello della generalità delle donne”. Penso che un tale guazzabuglio di antinomiche caratteristiche sia soltanto merito dei social, perché altrimenti troverei davvero singolare il fatto che la nostra protagonista fosse fautrice di un femminismo laico per sé e del patriarcalismo per le altre donne.

Quando Esterina vi arrivò da studentessa universitaria, dal punto di vista culturale Firenze era la città più all’avanguardia della penisola, perché aveva cessato da appena qualche anno di essere la capitale d’Italia. Come a Odessa, vi si era stabilita una nutrita colonia di stranieri innamorati della Toscana, tra i quali i più numerosi erano gli inglesi come Oscar Wilde, l’annalista Susan Horner, il parlamentare John Temple Leader e la scrittrice Violet Paget. Non mancavano neppure americani come il pittore John Singer Sargent e francesi come Marie de Labrugière Gondi, la donna che rivoluzionò la produzione vinicola in Toscana.

Insomma, il clima di Firenze era quello di una città sì carica di storia e opere d’arte, ma soprattutto dinamica e anticonformista, dove si pubblicavano giornali moderni come li intendiamo oggi. Sicché fu per forza di cose che una medichessa ebrea venisse introdotta nella cerchia delle ammiratrici fiorentine di Mazzini e dei radicali (che erano cosa molto diversa dai pagliacci che sono diventati oggi), una comunità che ruotava intorno alla rivista “La donna”. Fu questa la prima pubblicazione italiana diretta e scritta da sole donne, alcune delle quali di religione ebraica come Sarina Nathan e Giorgina Saffi, moglie quest’ultima di uno dei triumviri della Repubblica Romana voluta da Mazzini nel 1849. Fu proprio quella rivista che, con alcune introspezioni psicologiche, ci ha lasciato la più realistica descrizione della personalità di Ernestina: «Ella non è solo colta, ma seriamente istruita; è un tipo tutto femminile; una graziosa personcina, alta e flessibile, sicché la vi affascina con la grazia di una giovinetta e v’impone con la semplicità dignitosa delle sue maniere, con il prudente riserbo della parola, che ha, come il sorriso, amabilissima e piena di bontà. È l’angelo della famiglia, moglie, madre amorosissima, e trova il tempo per tutti i suoi doveri, professando la medicina come un vero sacerdozio, e non trascurando mai lo studio». Ernestina fu vice presidente della Federazione Toscana del Consiglio Nazionale delle donne, il cui primo congresso si tenne a Roma il 23 aprile del 1908 alla presenza della regina Elena. Fu tra i medici che prestarono soccorso alla popolazione di Firenze colpita dal terremoto del 18 maggio del 1895 e partecipò attivamente alle opere assistenziali della Baronessa Elena Cini French, offrendo la copertura sanitaria gratuita all’Orfanotrofio di San Marcello e all’ospizio di Piazza Pistoiese sostenuti economicamente dalla nobildonna.

Morì il 14 febbraio del 1926 e fu buon per lei, donna di sicura fede nella democrazia, che chiuse gli occhi prima di vedere il regime fascista all’opera per sopprimere il regime liberale in Italia e iniziare a coltivare il germe di una malattia che, fino al 1938, era pressoché sconosciuta nel nostro Paese: l’antisemitismo.

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