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A Palamara è rimasto un conto da pagare o una royalty da incassare?

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Il deposto magistrato con la barba da brigante calabrese dell’Ottocento, prima vendicativo e ciarliero, poi sospettamente ragionevole e silente, ha ancora in mano qualche royalty da incassare alle prossime elezioni politiche poiché, essendo stato tra i gratuiti massacratori giudiziari di Salvini, una candidatura a Sinistra non gliela negherà nessuno
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Il 28 ottobre del 1922, per fermare la famigerata “Marcia su Roma” dei fascisti, il presidente del consiglio Luigi Facta, che aveva già emanato gli ordini per decretare lo stato di assedio, quando si recò dal re Vittorio Emanuele III per farglieli controfirmare, questi si rifiutò, aprendo praticamente la strada a Mussolini verso il potere. Un po’ come se oggi Mattarella si rifiutasse di controfirmare i decreti di Conte. Fu subito chiaro così, al povero Facta, di essere stato sputtanato dal re, e quando questi gli fece intendere che a quel punto uno di loro due doveva sacrificarsi, cioè andarsene fuori dalle scatole, gli rispose con un sorriso amaro: «Non c’è bisogno che vostra maestà dica a chi tocca» e rassegnò le proprie dimissioni. Il resto è storia nota.

Qualcosa del genere riteniamo sia accaduta al magistrato, anzi ex magistrato e presidente dall’ANM, Luca Palamara, travolto da un’inchiesta giudiziaria riguardante il suo ruolo di “mediatore” tra le diverse correnti della magistratura, ma anche per la compravendita di sentenze e per la fuga di informazioni all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura del quale è stato membro. Ebbene, chiamato a deporre nel procedimento disciplinare a suo carico, Palamara richiese l’audizione di 133 testimoni tra magistrati, giornalisti e politici, una roba da terremotare l’intero sistema giudiziario italiano.

Ma la magistratura, che non aveva intenzione di far trasformare il processo a Palamara nel processo a sé stessa, scelse un’altra strada. Difatti, per intervento della Procura Generale della Cassazione, come avviene nei regimi dittatoriali, furono esclusi la bellezza di 127 dei 133 testimoni indicati da Palamara, secondo il principio che neppure gli stessi magistrati possono processare la magistratura, un principio subito accolto dal CSM e perciò non v’è stato alcun processo, ma soltanto un procedimento disciplinare sicché, dopo essere stato espulso dall’ Associazione Nazionale Magistrati, Palamara è stato radiato anche dalla magistratura. È la prima volta che in Italia un ex consigliere del CSM, presieduto dal Capo dello Stato, viene rimosso dall’ordine giudiziario!

Siamo, tuttavia, persuasi che un processo vero e proprio contro Luca Palamara non ci sarà neanche in futuro (troppe cose verrebbero fuori da un dibattimento in aula …) e che il tutto finisce qui, con la sua espulsione dalla magistratura che, secondo il nostro vignettista Donato Tesauro, si è comportata come quei compagni di bisboccia che, prima decidono di dividere in parti uguali il costo del pranzo, e poi, giunto il momento di pagare, se la squagliano lasciando il più sprovveduto della tavolata col conto in mano affinché paghi per tutti.

Ma l’ex PM con la barba da brigante calabrese dell’Ottocento, prima vendicativo e ciarliero, poi improvvisamente ragionevole e silente, ha ancora in mano qualche royalty da incassare alle prossime elezioni politiche poiché, essendo stato l’orditore dichiarato del complotto per massacrare Salvini per le vie giudiziarie, una candidatura nelle fila della Sinistra non gliela negherà nessuno. Ci scommettiamo?

(Vignetta di Donato Tesauro)
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