L’ebreo buono della sinistra è quello sottoterra
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A causa della sua discendenza dal marxismo dogmatico, sul problema israelo-palestinese la Sinistra italiana è vittima di un riflesso condizionato che, al di là delle ragioni storiche e politiche alla base dei diversi problemi che agitano lo scacchiere mediorientale, ha una visione sinistro convessa secondo la quale la ragione è sempre dalla parte dove lei milita, che poi è quella dei terroristi di Hamas
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Per ragioni professionali abbiamo spesso visto “da dentro” i disastri materiali e in vite umane che è capace di fare il fanatismo politico e religioso armato, perciò quando ci accingiamo a parlare di una guerra avente una base religiosa lo facciamo sempre con disincanto, facendo attenzione alle parole e tenendo in grande sospetto quelle utilizzate dalle parti in causa perché – come sosteneva il tragediografo greco Eschilo – la prima vittima di ogni guerra è la verità. Un esempio? Dall’inizio della campagna militare israeliana nella striscia di Gaza, iniziata a seguito del brutale attacco terroristico di Hamas contro i civili israeliani il 7 ottobre 2023, il computo delle vittime civili palestinesi viene fatto dai diretti interessati e cioè dai terroristi di Hamas. Il che è come se i giudici del processo di Norimberga avessero chiamato Adolf Eichmann a fornire l’elenco degli ebrei eliminati nei campi di sterminio nazisti. E l’assurdo nell’assurdo è che perfino le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e le principali agenzie di stampa continuano a basare i loro giudizi sui numeri forniti dai terroristi, con comunicati che fanno apparire l’esercito israeliano dedito alla guerra ai civili di Gaza più che a loro, in particolar modo ai bambini. Sicché, indipendentemente da quante siano realmente, poche agenzie ed istituzioni sovranazionali pongono nel giusto risalto il fatto che le vittime civili nella striscia sono dovute prevalentemente al fatto che Hamas si fa scudo di loro.

Questo avviene perché la verità riesce a passare con fatica attraverso le spire del mainstream che, ormai, si è incatenato al paradigma israeliani cattivi – palestinesi buoni e non riesce più a liberarsene. Che i civili palestinesi siano buoni, senza peccati diciamo così, ci permettiamo di dubitarne, avendo ascoltato la registrazione delle telefonate eccitate che gli “eroi” del 7 ottobre fecero ai loro genitori dopo aver violentato donne, ucciso, squartato e decapitato vecchi e bambini nelle culle e gli incoraggiamenti che da essi ricevettero per aver compiuto tali orrori. E che dire dell’ostaggio russo-israeliano Roni Kariboi che, riuscito a sfuggire dalle grinfie di Hamas una ventina di giorni dopo il suo sequestro avvenuto al festival musicale Supernova, fu acciuffato dai buoni civili palestinesi e riconsegnato ai terroristi.
Questo vuol dire che soltanto Israele è senza peccati in questa guerra? No, in guerra nessuno è senza peccato per definizione. Vuole soltanto dire che un Paese, tirato su dai sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti, sa bene con chi si sta battendo e perciò sente come imperativo storico e morale, prima che militare, il diritto-dovere di difendersi da chi ha nel proprio programma il suo sterminio come, ad esempio, gli ayatollah iraniani e i loro proxy nella striscia di Gaza, in Libano, in Iraq e nello Yemen. Anche a riguardo sono pochi gli analisti occidentali a soffermarsi sul fatto che costoro sono perfino più spudorati di Hitler nel perseguire alla luce del sole il loro obiettivo di sterminio del popolo ebraico, capifila gli ayatollah iraniani che non hanno mai fatto mistero di volersi costruire una bomba atomica per poter cancellare Israele dalla faccia della terra: i pasdaran al posto delle Einsatzgruppen e l’atomo in sostituzione del Zyklon B e la storia dello sterminio si ripeterebbe!

Sicché, non appena l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica- AIEA lo scorso 12 giugno ha denunciato il superamento dei limiti di arricchimento dell’uranio per un possibile uso militare da parte dell’Iran, il governo israeliano ha fatto partire un attacco chirurgico (per quanto possono esserlo tali attacchi…) contro i siti nucleari di Teheran e gli scienziati che vi erano addetti, eliminandone quattordici. È stato evidentemente il frutto di un piano messo a punto da lungo tempo, perché in pochi minuti sono state eliminate le leve del potere di Alì Khamenei, come il comandante delle forze aeree, il vice comandante delle forze armate, il capo di Stato Maggiore e, mentre scriviamo, anche i vertici dell’intelligence dei pasdaran. Tutto questo sta avvenendo secondo una tattica che Israele applica dalla guerra dei sei giorni del 1967 e, soprattutto, da quella del Kippur del 1973: risucchiare gli avversari in avanti e nel frattempo disarticolare la loro logistica, che già di suo non è granché. Con questo sistema nel ’73 gli israeliani, passata la sorpresa per l’improvviso attacco congiunto dei siriani e degli egiziani, con una manovra frontale respinsero i siriani e con un’altra aggirante imbottigliarono le armate egiziane che si erano spinte troppo in avanti e, dopo aver attraversato il canale di Suez, sarebbero arrivato al Cairo se non fosse intervenuto il provvidenziale cessate il fuoco dall’ONU sollecitato dall’Egitto.

Anche in questo momento la rappresaglia missilistica degli ayatollah, tutta protesa in avanti in senso concettuale, va stemperandosi perché, non avendo saputo proteggere le sue retrovie con una passabile copertura aerea, non appena mette fuori i lanciatori gli aerei con la stella di Davide glieli distruggono al suolo, anzi gliene hanno già distrutti più di un terzo di quelli disponibili. Sicché, di questo passo, mentre continua a lanciare vettori su Israele in massima parte fermati dallo scudo antimissile Iron Dome, la leadership iraniana, nel giro di un paio di settimane, si ritroverà con i siti nucleari per sempre compromessi, con gli arsenali pieni di missili ma senza lanciatori, senza benzina, senza elettricità, senza gas e senza acqua potabile a Teheran e, stando agli ultimi lanci di agenzia, anche senza la televisione di Stato appena bombardata dagli israeliani.
Questo iniziano a capirlo anche i fanatici turbanti neri di Teheran dal momento che il loro ministro degli esteri, sebbene con una certa sufficienza e velate minacce com’è stile delle dittature teocratiche, ha chiesto a Francia, Germania e Gran Bretagna di impegnarsi affinché Israele cessi gli attacchi contro l’Iran. La verità è che il regime iraniano, che per costruire armamenti a dismisura ha limitato le prospettive di sviluppo economico del suo popolo si sente vacillare sotto i colpi di maglio degli israeliani: non è detto che il regime cadrà adesso perché ha avuto quasi mezzo secolo a disposizione per mettere sotto scacco la società civile e gli avversari politici. Certo è che, anche se gli israeliani si ritirassero adesso dagli indifesi cieli iraniani, niente sarebbe più come prima nei rapporti di forza nell’area mediorientale, con grande soddisfazione di quasi tutti i Paesi del Golfo Persico che vivono con crescente disagio la vicinanza degli ingombranti ayatollah. Men che mai pensiamo che l’attacco preventivo israeliano contro l’Iran possa innescare in qualche maniera la terza guerra mondiale, perché né la Russia (che – sic! – si propone addirittura con paciere), né la Cina hanno interesse a sostenere fino alle estreme conseguenze l’Iran: una cosa è il BRICS, altra cosa sono gli interessi geostrategici. E, poi, per quanto ne possiamo capire noi, due potenze nucleari, come lo sono Cina e Russia, non vedrebbero di buon occhio la nascita di una consorella in kilotoni.

Ovviamente chi ha la certezza di aver capito tutto quanto è la Sinistra italiana, che ha già stabilito dove stanno il torto e la ragione, partendo lancia in resta contro Israele, senza prendere neppure in considerazione le ragioni che hanno imposto il suo attacco dal cielo, inclinando a rifugiarsi nei soliti luoghi comuni contro il premier Benjamin Netanyahu e contro il governo italiano che in tutto questo, poi, non c’entra un cazzo. Purtroppo, a causa della sua discendenza dal marxismo, quello della Sinistra italiana è un riflesso condizionato che, al di là delle ragioni storiche e politiche che sono alla base dei problemi che si agitano sullo scacchiere mediorientale, la porta fatalmente ad avere una visione sinistro convessa, secondo la quale la ragione è sempre dalla parte dove milita, che poi è sempre la stessa dei terroristi. Va da sé che una tale deformazione le impedisce di fare analisi politiche razionali, portandola inevitabilmente a spiaggiare ogni volta che bisognerebbe cambiare la prospettiva per cercare di vedere i problemi sul tappeto nella giusta luce, nel caso partendo da una domanda: sono stati gli israeliani o la Siria, la Giordania e l’Egitto a rubare la terra che reclamano oggi i palestinesi? Ma non si può chiedere questo immane sforzo intellettuale a quattro personaggi del calibro di Elly Schlein, di Giuseppe Conte, di Nicola Fratoianni e di Angelo Bonelli. Evidentemente, per questo tragico quartetto l’unico ebreo buono, degno di essere tiepidamente ricordato il 27 gennaio di ogni anno è quello sottoterra.
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