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Vaccino anti Covid: troppo veloce, troppi dubbi, troppi soldi

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Le perplessità sul vaccino anti Covid così repentinamente approntato sono comprensibili perché, parallelamente agli studi preclinici e clinici, è stata avviata la sua produzione su scala industriale non tenendo conto che le ricerche su di un nuovo farmaco vanno fatte prima della sua messa in commercio e non in parallelo con essa, atteso che numerosi studiosi sostengono che il tempo necessario per sviluppare un vaccino oscilli mediamente tra i due e i dieci anni. Questo perché, prima di commercializzarlo, occorre testarne la totale efficacia e sicurezza
– *Maria Angela Buttiglieri –

Nei mesi scorsi il mondo scientifico nazionale ha mediaticamente fatto a pezzi il microbiologo Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università e del Laboratorio di Virologia e Microbiologia dell’Università di Padova oltre che osannato eroe della pandemia fino a qualche settimana prima, perché si era permesso di esprimere dei dubbi sulla scarsa sperimentazione dei vaccini anti Covid 19 annunciati dalle case farmaceutiche. Eppure i dubbi di Crisanti erano legittimi e doverosi per uno scienziato che – per chi nella popolosa savana del mainstream non lo avesse ancora capito – fondono le loro scoperte proprio sui dubbi che precedono o seguono le loro intuizioni.

D’altronde, io stessa nel quotidiano lavoro di medico, quando si tratta della salute delle persone che si affidano alle mie cure, mi lascio permeare da una miriade di valutazioni e interrogativi prima di somministrare le terapie, essendo in gioco la vita di esseri umani che, fiduciosi e indifesi, traggono la loro salvezza proprio dai nostri dubbi pre-diagnosi: in medicina, infatti, esistono soltanto le certezze sperimentate! I tentativi sono un’altra cosa. Nell’articolo dello scorso 12 dicembre avanzai alcune perplessità che nella sostanza non erano molto diverse da quelle del professor Crisanti: «… non provo neppure ad interrogarmi, in questa sede, sugli effetti del vaccino e le eventuali reazioni sui vaccinati, reazioni che in alcuni casi si stanno già evidenziate nel Regno Unito. Questo non significa che non farò il vaccino – sono un medico e ho dei doveri verso me stessa e verso i miei pazienti – ma di certo sarei più tranquilla se conoscessi il decorso della ricerca che ha portato al vaccino, in modo da poter rasserenare i miei pazienti».

I dubbi sul vaccino anti Covid-19 così repentinamente approntato ci stanno tutti perché, parallelamente agli studi preclinici e clinici è stata avviata una produzione su scala industriale non tenendo conto che le ricerche su di un nuovo vaccino vanno fatte prima della sua produzione e non in parallelo con essa, atteso che numerosi studiosi sostengono che il tempo necessario per sviluppare un vaccino oscilli tra i due e i dieci anni. Questo perché, perché prima di commercializzarlo, occorre testare la sua totale efficacia e sicurezza. Infatti, dopo aver decifrato il genoma che è la carta d’identità di un virus, si procede attraverso quattro fasi.

Nella prima fase si somministra il preparato a delle cavie animali, di solito topi; a primo test positivo si passa testare il preparato su di un numero ristretto di pazienti volontari, ristretto perché se in questa fase qualcosa dovesse andare storto il danno sarebbe limitato. Con un po’ di sicurezza in più, nella terza fase, invece, si procede con la somministrazione del nuovo vaccino ad un numero maggiore di volontari, bambini e anziani compresi. Nella quarta fase, e con ancora maggior sicurezza, si somministra il nuovo vaccino a migliaia di volontari la cui risposta viene comparata con quella fornita da altri volontari cui è stata somministrata una sostanza placebo (acqua in pratica) per comparare l’efficacia della medicina indipendentemente dalla suggestione psicologica. Ecco, a volerla dire tutta, noi stiamo ancora aspettando di conoscere questa quarta fase della ricerca, a maggior ragione che ai casi di reazione allergica al vaccino rilevati nel Regno Unito, si sono aggiunti quelli più gravi riguardanti due operatori sanitari vaccinati in Alaska col prodotto della Pfizer, tanto che uno di essi è stato ricoverato in terapia intensiva.

In presenza di tali, affioranti precedenti che, per carità, dal punto di vista statistico sono al momento insignificanti ma pur sempre consiglieri di prudenza, il nostro governo continua ad essere ostaggio inane dei capi dipartimento ministeriali, dei vari commissari e dei cosiddetti esperti sempre pronti a sostenere tutto e il contrario di tutto sulla lotta al Covid-19, un comportamento schizofrenico che sta creando soltanto insicurezza ed instabilità nella popolazione e nella coscienza professionale di molti medici.

Adesso, ad esempio, abbiamo appreso da una fonte non ufficiale – dal super commissario all’emergenza che è un funzionario incaricato dal governo senza alcun ruolo politico – che le vaccinazioni inizieranno il 7 gennaio sotto i gazebo dal tetto a primula. Arcuri ci ha fatto anche sapere quali saranno le categorie da vaccinare per prima … ma queste cose non deve deciderle il ministero competente, cioè quello della salute? Sennò che senso ha la responsabilità politica? In compenso, però, il nostro debordante commissario non ci ha ancora detto come fronteggerà la penuria di medici che dovranno fare le vaccinazioni e con quale organizzazione logistica farà fronte ad eventuali reazioni di allergia al vaccino che, stando alle notizie provenienti dai Paesi che già hanno iniziato a somministrarlo, sono più che probabili in una buona percentuale di soggetti vaccinati.

Voglio sperare non in mezzo alla strada, cioè sotto il gazebo col tetto a primula di Arcuri e, soprattutto, confido che prima d’iniziare un altro disastro organizzativo, la politica e i suoi capataz nei ministeri si rendano almeno conto di che cosa significhi dover vaccinare sessanta milioni di persone quasi contemporaneamente.

* Specialista in anestesia, rianimazione e medicina preventiva; responsabile di FdI del dipartimento salute della Lombardia e consigliere comunale a Busto Arsizio

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