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Un’emozione per ogni generazione

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In quella sala d’aspetto ognuno badava alle sue cose, e sembrava una mattinata di ordinaria attesa in un italico ufficio, mentre per me era un tenero replay. Infatti, avevo già visto il viso della ragazza che mi sedeva di fronte, avevo già visto quelle espressioni trasognate, le stesse di tanti anni fa, quando per gli innamorati lontani non esisteva lo smartphone ma soltanto il telefono a gettoni di qualche cabina telefonica
– Enzo Ciaraffa –

Come nell’iconografia del passato non si rappresentava un uomo delle caverne che non fosse armato di clava, così oggi non si potrebbe disegnare un essere umano civilizzato senza lo smartphone in mano. Dall’invenzione della ruota ad oggi, infatti, mai era successo che un piccolo utensile riuscisse modificare così tanto i comportamenti dell’umanità! Sì, perché questo piccolo computer, che ognuno di noi porta in tasca, non ci permette soltanto di parlare con chiunque in qualsiasi parte del mondo, ci consente anche di vivere quasi tutte le emozioni di un incontro reale con le persone delle quali non ci arriva soltanto la voce ma, mediante immagini – le così chiamate emoticon –  anche gli stati d’animo.

Mentre attendevo il mio turno nella sala d’aspetto di un pubblico ufficio, era seduta di fronte a me una ragazza che smanettava col suo smartphone e, dalle espressioni che via via assumeva il suo viso, si capiva che dall’altra parte v’era una persona che l’intrigava molto: i sospiri, con discrete espirazioni, si alternavano a silenziosi sorrisi, mentre le pause trasognate e lo sguardo addolcito arrivavano fino a me ogni volta che essa sollevava la testa, per poi calarla di nuovo su quel ruffiano cibernetico degli innamorati del XXI secolo che è diventato il telefonino.

In quella sala d’aspetto ognuno badava alle sue cose, e sembrava una mattinata di ordinaria attesa in un pubblico ufficio, mentre per me si stava trasformando in un tenero replay. Infatti, avevo già visto l’espressione trasognata della ragazza che mi stava di fronte, tanti anni fa: il viso del mio primo amore. Era anche l’immagine che avevo davanti agli occhi tutte le sere, quando dall’altra parte dell’Italia chiamavo dalla cabina telefonica, mediante un telefono che in realtà un po’ odiavo perché il “trac” dei gettoni che, insensibili, cadevano nella gettoniera scandivano troppo velocemente il tempo della nostra conversazione, fatta anch’essa di quegli stessi sospiri. In fondo tutto ciò era normale allora come oggi. L’amore non si nutriva e non si nutre di cose intelligenti: per quelle avevamo tutta la vita.  D’altronde la giovinezza, come il primo amore, si nutre di baci, di carezze e d’illusioni, e meglio sarebbe se da questa fase della vita non si uscisse mai

Le cose non andarono esattamente come le immaginavamo perché, quando pensammo di essere diventati grandi, non fummo anche intelligenti perché lasciammo che un’impennata di orgoglio ci portasse via tutto. E finirono i baci, le carezze, i sogni, le illusioni e le lunghe telefonate serali da un capo all’altro dell’Italia.  Qualcuno sostiene che di solito è così che inizia l’apprendistato dei ragazzi per la maturità. Confesso che allora avrei fatto volentieri a meno di quella maturità, non la conoscevo e non la desideravo, volevo soltanto stare, e non nei fui capace, con chi non incontrai mai più.

Ancora per qualche minuto riesco a guardare la ragazza di fronte a me che, ignara delle mie elucubrazioni, continua a smanettare col suo smartphone, poi devo uscire a prendere una boccata d’aria… sarà stata la vecchiaia, sarà stata la suggestione del ricordo, ma sentivo ancora nelle orecchie i “trac” della gettoniera.

Ma forse era soltanto il mio cuore.

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