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Ma dove vai se le mutande non ce l’hai?

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La nuova frontiera dell’intimo femminile pare che sia la strapless panty, una mutandina-tanga di silicone senza spalline posta a copertura delle parti intime preventivamente depilate e che si può attaccare con un gel. Insomma è un accrocco che sta a metà strada tra un assorbente intimo e lo sparadrappo per le medicazioni ospedaliere

– Enzo Ciaraffa –

Con un Paese che, complici diverse congiunture internazionali, dovrà affrontare un autunno a dir poco incandescente sotto il profilo economico e sociale, a qualcuno verrà certamente da domandarsi se era proprio questo il momento di occuparsi di mutande ma, stante la desolante premessa, evidentemente è proprio questo il momento di svagarsi con degli argomenti semiseri peraltro assonanti con la classe politica che la serietà non sa neppure dove sta di casa. A questo punto, tanto vale entrare subito nell’argomento esordendo col dire che, fin dalla loro creazione che è relativamente recente, le mutande femminili hanno esercitato sui maschietti di ogni età un fascino irresistibile perché costituivano l’ultima barriera tra loro e il bramato oggetto dei desideri o, per chiamarlo come Gustave Courbet, “L’origine du monde”. È stato anche per questa ragione che nel corso degli ultimi cinque secoli la civetteria muliebre si è sbizzarrita a indossarne di ogni foggia e colore.

Ma, stando a quanto si coglie dalle conversazioni sempre meno pudiche delle signore, pare che le classiche mutandine abbiano i giorni contati. Quando sia iniziato il loro declino non saprei dirlo di preciso, so per certo, però, che già al festival di Sanremo del 2012 la showgirl Belén Rodriguez, grazie a un vertiginoso spacco del vestito, poté esibire una farfalla (quella con le ali…) tatuata sull’inguine destro e, nella circostanza, ai più sembrò che essa non indossasse le mutande. Bisogna dire, però, che per quanto quest’artista negli anni ci abbia abituati a ben altre performances, in realtà a Sanremo indossava sì le mutande ma che erano piuttosto diverse da come le aveva immaginate la sua creatrice nel 1500, quella Caterina de’ Medici moglie del re di Francia Enrico II che, però, le battezzò con il poco arrapante nome di “Briglie da culo”.

Strapless Panty, questo termine inglese dirà poco alla maggior parte delle donne italiane di una certa età e, tuttavia, dopo l’esibizione di Belén a Sanremo è diventato un indumento intimo piuttosto noto. Oddio, parlare d’indumento forse è eccessivo perché, in effetti, si tratta di un tanga di silicone senza spalline e che si può attaccare all’inguine con un gel. Insomma è un accrocco che sta a metà strada tra un assorbente intimo femminile e lo sparadrappo per le medicazioni ospedaliere. Questa affiorante moda mi lascia alquanto perplesso perché credo che toglierà poesia e sapidità all’atto sessuale.

È noto, infatti, che durante i preliminari amorosi entrino in campo tutti i cinque sensi e chi ha la mia veneranda età ricorderà bene (voglio sperare…) che la biancheria intima femminile, così come le sensazioni tattili, il fruscio delle calze di seta, l’asperità di un pizzo, l’ostinazione di una giarrettiera malandrina o anche l’intangibilità di uno slip virtuoso, estrema barriera della virtù muliebre, erano parte del gioco, tant’è che fin dai suoi esordi il cinema ha sfruttato il fascino che la donna in lingerie esercita sugli spettatori. Basti ricordare che, benché risalente al 1930 del secolo scorso, è entrata nel mito della cinematografia e dell’immaginario maschile la scena del film del regista Josef von Stemberg, “L’angelo azzurro”, in cui Marlene Dietrich canta con le mutande bene in vista seduta su di una piccola botte.

Poi verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso la percezione di sé delle donne cambiò perché, giustamente e tardivamente, rivendicarono l’uguaglianza e un più incisivo ruolo nella società, nella quale avevano sino ad allora occupato un posto innegabilmente di secondo piano. Come però accade in tutte le rivoluzioni culturali e di costume, si perse per strada il principale obiettivo della loro rivoluzione che inizialmente era stato quello dell’uguaglianza nei diritti: ma essere “uguale” a un maschio per una donna non deve significare diventarne il clone o la controfigura! Le lotte femministe, infatti, hanno troppo insistito sul perseguimento del traguardo di essere uguali agli uomini scimmiottandone alcuni comportamenti, tutto ciò sta mettendo in crisi l’universo maschile perché, dall’altra parte del letto, ha iniziato a vedere la sua immagine speculare. Per il resto niente più sospiri e languidi abbandoni, niente più sapiente sfilamento degli slip e delle calze, ma soltanto uno strappo deciso al cerottone della Strapless Panty.

Sicché, poveretto, il nostro disorientato confratello non sa più riconoscere l’ambito ricoperto nel rapporto di coppia o il proprio ruolo nella società e nella famiglia e, in qualunque modo si proponga spesso si sente messo sotto accusa soltanto perché appartenente al suo genere: quello maschile. Con l’aggravante che, mentre la donna continua a procedere a testa bassa per riprendersi, nel giro di pochi decenni, lo spazio perso nei millenni precedenti, avanzano le armate del pensiero unico Lgbtq+. Ed è stato a questo punto che il maschietto-tipo ha iniziato a porsi un angosciante interrogativo: «Ma io chi sono?». E proprio in questa fase di smarrimento gli togliamo anche il piacere dello sfilamento delle mutande muliebri.

Peraltro, la difficile ridefinizione di rapporti equilibrati tra i sessi ed il crescente intiepidimento della foga sessuale è parte di un problema che potrebbe rivelarsi addirittura fatale per la sopravvivenza della specie umana sulla terra, dove in alcune aree del nostro pianeta le morti hanno da tempo superato le nascite. Adesso, sebbene indirettamente, la Strapless Panty rischia di complicare ancora di più tale problema… riuscite a immaginare ancora come stuzzichevoli ed eccitanti i preliminari amorosi di una coppia che siano preceduti da depilazioni preventiva del pube, cerottoni da strappare e gridolini di dolore seguenti lo strappo? A me, più che una vitale, propulsiva e paradisiaca seduta amorosa ricorderebbe le soffuse voci della medicheria di un ospedale. Giunto a questo punto, per il bene dell’umanità, non mi resta che produrmi in un’esortazione: signore, rimettete le mutande!

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