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La grande assente dal secolo: la famiglia

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la famiglia
Sebbene il problema della crisi ideale giovanile stia esplodendo in tutta la sua gravità soltanto oggi, per tutta una serie di fattori connessi anche ad una società che abbiamo definito globalizzata e che invece avremmo dovuto chiamare pervasiva, bisogna dire che tale crisi, così come quella della famiglia e della figura genitoriale, viene da lontano, da prima della globalizzazione: è un lascito dei regimi dittatoriali

– Enzo Ciaraffa –

Quando ci occupiamo della volatilizzazione dei freni inibitori e del conseguente degrado morale di una fetta consistente di giovani e giovanissimi (e ultimamente siamo stati costretti a occuparcene spesso), la principale colpevole di tutto ciò resta sempre un po’ defilata, se non addirittura fuori campo: la famiglia. Oddio, questo defilamento un po’ si spiega col fatto che spesso chi si occupa del problema è egli stesso facitore di una famiglia e, in quanto tale, inconsciamente restio a raccontare una realtà che, sul piano psicologico, lo coinvolge più direttamente di quanto sia disposto ad ammettere con se stesso.

E sì, perché noi questo problema lo possiamo inquadrare con qualsiasi ottica, lo possiamo perfino girare come una cotoletta nella farina dei luoghi comuni e del politicamente corretto, ma la realtà non cambia perché, a meno di una rivoluzione morale di tipo calvinista, questo in corso sarà ricordato come il secolo in cui scomparve la famiglia come cellula-base della società, e l’umanità ritornò indietro, s’inselvatichì. Immagino che per molte persone il verbo inselvatichirsi sia duro da buttar giù in tempi di grattacieli così alti che bucano le nuvole, d’Internet, di social, di sesso per ogni gusto, di viaggi interplanetari e sub-oceanici, oltre che di un’intelligenza artificiale che penserebbe per noi, ma dobbiamo stare attenti a non confondere l’evoluzione tecnologica con l’evoluzione morale della società.

Famiglia – degrado morale dei giovani: ma qual è il nesso di casualità?

Posto che non sono un sociologo e tantomeno uno psicologo, secondo me il disadattamento dei giovani è iniziato quando la famiglia ha smesso di proporsi come modello educativo, perché al suo interno è venuta meno la pregnante figura genitoriale che, invece di continuare a proporsi come guida, a volte perfino autoritaria come avveniva in passato, ha preferito i sentieri del laissez faire, spacciati per la nuova frontiera dei rapporti endofamiliari. In realtà questo “liberi tutti” in famiglia, in nome della post-modernità, ha prodotto soltanto l’avvitamento dei suoi componenti sul culto narcisistico del loro ego, in ciò favoriti dai già menzionati social capaci di far diventare divo ogni erratico coglione. A riguardo dei social fa specie andare nell’area giochi di un parco pubblico e vedere una mamma che, mentre con una mano smanetta sullo smartphone che la sta assorbendo fino alla radice dei capelli, con l’altra spinge distrattamente l’altalena sulla quale si trova, silente e palesemente annoiato, un bambino che avrebbe il diritto di giocare, di fare chiasso e d’interagire con lei, il suo primo anello di congiunzione col mondo che lo circonda.

Poi quel bambino-tipo del parco cresce, ricorda, osserva, valuta, e puntualmente la sua concezione della figura genitoriale ne esce a pezzi. Ragion per cui non dovremmo stupirci se adesso un/una ragazzo/a non si pone più il dilemma “Questo non lo faccio perché non lo farebbe il mio papà o la mamma” ma, anzi, parte dal presupposto che, siccome ai genitori non gliene frega una cippa delle sue azioni, può permettersi tutto: tanto ci sarà sempre un docente da malmenare perché gli ha comminato un brutto voto, un Tar a dargli ragione se bocciato, o un giudice che, improvvisandosi sociologo, abbuonerà in tutto o in parte le sue malefatte.

Sebbene il problema della crisi ideale giovanile stia esplodendo in tutta la sua gravità soltanto oggi, per tutta una serie di fattori connessi anche a una società che abbiamo definito globalizzata e che invece avremmo dovuto chiamare pervasiva, bisogna dire che la crisi della famiglia e della figura genitoriale vengono da molto lontano, da prima della globalizzazione: sono un lascito dei regimi dittatoriali. Infatti, sia il comunismo che il nazifascismo, avocando a sé la formazione dei giovani, esautorarono di fatto la famiglia dal processo educativo dei figli.

Ma, caduti tali regimi, non fu più possibile ritornare ab antico, ovvero al modello familiare dello Stato liberale che pure aveva funzionato dal punto di vista valoriale, perché tale modello si era ormai sputtanato con la sua acquiescenza nei confronti dei regimi dittatoriali che appestarono il secolo passato e che, poiché viviamo connessi sì ma su di un altro pianeta, promettono di rovinarci anche il secolo da poco iniziato. Sicché, quella che la buonanima della filosofa e sociologa Elena Pulcini definì famiglia razionale in quanto protesa al raggiungimento di un progetto logistico-educativo, si è andata via via modificando in questo universo morale liquido (Bauman), dove ogni cosa, anche la peggiore, trova sempre una sua collocazione e “dignità”. Ciò ha contribuito alla nascita di una nuova tipologia di famiglia, la famiglia irrazionale, ovvero quella composta da un gruppo d’individui di varia età che non hanno elaborato un progetto, non si parlano, e forse neppure si conoscono bene, che non condividono né programmi, né più un progetto di vita ma, quando va bene, soltanto una casa, una cassa e una dispensa.

A fronte di tutto questo, viene da ridere quando la politica, di destra o di sinistra che sia, asservita a interessi che fanno capo ai tre o quattro gruppi di potere economico e finanziario internazionali che si sono spartiti il mondo, parlando di giovani sostiene di voler cambiare una situazione che, a ben vedere, è funzionale alla loro inadeguatezza: dei giovani veramente interessati al mondo che li circonda li avrebbero già fatti rotolare a calci in culo per le scale del potere! D’altro canto, la situazione corrente fa dei giovani i consumatori perfetti, i principali finanziatori delle nuove oligarchie tecno-finanziarie che manovrano la politica.

Come ne usciremo?

Non credo che ne usciremo, comunque non tanto presto e, soprattutto, non credo che ne usciremo senza pagare un dazio che, per come lo vedo, potrà avere soltanto due volti: la rivoluzione globale o l’asservimento totale ai poteri emergenti che, beninteso, hanno un volto e dei progetti di asservimento che essi chiamano “nuovo ordine mondiale”. Peraltro, per quanto l’asservimento sia inevitabile, ancora non si riesce a capire d’innanzi a chi dovremo prostrarci in futuro: alla Cina capital comunista? Al Gruppo Brics ovvero a Brasile, Cina, Sudafrica, Russia e India?

Se buttiamo nel calderone questi due interrogativi, una società liquida in tutti i sensi e la figura genitoriale in dissolvenza, si capisce meglio perché la famiglia, che non riesce più a essere un appiglio ideale per i suoi componenti, specialmente per quelli più giovani, debba considerarsi la colpevole numero uno della loro deriva ideale e civile. Per concludere: quei genitori che puntano il dito contro la società e lo Stato, quando i loro giovani componenti escono disastrosamente dal seminato, farebbero bene a puntarlo contro se stessi. Ma temo sia tardi anche per cospargersi il capo di cenere.

(La copertina è di Donato Tesauro)

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