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La dittatura del sistema ha trovato il suo Benito?

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Le bande che, facendosi paravento di un inedito duce, oggi si accingono ad impadronirsi dei gangli vitali del nostro Paese non sono munite di manganelli e bottiglie di olio di ricino ma di un armamentario che è molto più pericoloso perché porta fatalmente i popoli e le nazioni alla rovina. Parliamo dell’incompetenza, dell’avidità e dell’antipatriottismo in una democrazia troppo giovane per ricordare i gusti del passato e troppo formalistica per essere anche autentica e matura

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Nonostante ostenti il suo costruito, solito, aplomb istituzionale, abbiamo avuto la sensazione che Giuseppe Conte sia rimasto male, non tanto per la verità che sta venendo fuori sulle sue inadempienze in fatto di gestione della pandemia da Covid-19, quanto per il calo di popolarità e di consensi benché la maggior parte dei media eviti accuratamente di dedicare qualche riflessione all’argomento. C’è rimasto malissimo poi per il fatto che nessuno lo abbia preso sul serio per il tunnel sotto lo Stretto di Messina e, vanaglorioso com’è, possiamo capire il suo dispiacere, fino a un certo punto però. Di quale particolare tunnel sottomarino parla Conte in una zona del Paese dove esiste il più grande vulcano attivo della placca euroasiatica, l’Etna? Non è meglio un ponte dove sono avvenuti i più devastanti terremoti e maremoti della storia in un Paese che, ancora adesso, è interessato da 190.000 eventi sismici, più o meno avvertiti, ogni anno?

Sul piano politico, invece, non riteniamo motivate le critiche che vengono mosse a Conte a proposito del crash prossimo venturo del Paese: è entrato sulla scena politica ieri e, perciò, non può essere ritenuto il responsabile di tutti i guai che ci affliggono, tantomeno può essere ritenuto l’unico responsabile della pessima gestione della pandemia, a partire proprio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e parliamo di ONU! Il nostro, poverello, è soltanto un leader mediocre che si è trovato a guidare un governo ancora più mediocre, perché composto da politici a loro volta mediocrissimi, alcuni anche sconcertantemente squallidi e scrocconi.

È sul piano della proposizione della sua immagine che, secondo noi, Conte (ma sarebbe meglio dire Casalino…) continua a sbagliare. Se, infatti, avesse dato una sbirciatina alla storia, si sarebbe accorto che, in Italia, la distanza tra le ovazioni oceaniche di un’ideale Piazza Venezia e i ganci della pensilina di Piazzale Loreto è dannatamente breve, traendone così degli ammaestramenti per rivedere meglio la sua azione politica che, invece, continua ad essere supponente e costellata di errori, ritenendosi egli il novello uomo della provvidenza… questo succede quando i piccoli uomini si ubriacano di potere.

Il parallelo tra lui e il duce è ovviamente eccessivo, ma indispensabile per capire che sia Conte che Mussolini hanno commesso il medesimo errore: ritenersi dei grandi statisti al cospetto di opposizioni politiche modeste e per niente competitrici. Infatti, gli avversari di Mussolini, prima che questi divenisse dittatore, per contrastarlo non riuscirono ad andare più in là della scampagnata consegnata alla storia del Paese come lo sdegnoso “ritiro sull’Aventino”; l’opposizione di Conte è così scombiccherata che non è riuscita a fare neppure quello.

Ma le similitudini non finiscono qui perché a Mussolini le leve del comando furono regalate su di un piatto d’argento da un sistema di potere che era già decotto dopo appena una sessantina d’anni dall’Unità d’Italia; a Conte il potere è stato servito su di un piatto addirittura d’oro, dalla Lega e da un sistema di potere che   – coincidenza della storia! – è divenuto anch’esso marcio dopo poco più di settant’anni dal varo della Costituzione. È inevitabile, dunque che, come Mussolini, anche Giuseppe Conte crolli non appena sulla scena comparirà il competitore vero: il Popolo! Quel popolo che nessuno ha fretta di mandare alle urne, presidente della repubblica in testa, il quale, fatta la tara sui tempi e sulle modalità, sta facendo la stessa cosa che aveva fatto un suo regale predecessore al Quirinale quando rifiutò di firmare lo stato d’assedio per bloccare la cosiddetta marcia su Roma delle bande fasciste. Adesso si tratterebbe di bloccare la lievitante sfiducia degli italiani nella democrazia.

Ovviamente le bande che, facendosi paravento del novello duce, oggi si accingono ad impadronirsi nostro Paese non sono munite di manganelli e bottiglie di olio di ricino ma di un armamentario che è molto più pericoloso perché porta fatalmente i popoli e le nazioni alla rovina: l’incompetenza, l’avidità e l’antipatriottismo.

Dubitiamo, tuttavia, che l’inquilino del Quirinale, insieme a Conte e all’armata Brancaleone che lo sostiene, capiscano che è giunta l’ora di dare la parola al popolo e per loro di farsi da parte, cosa che non capì neppure Mussolini dopo il 25 luglio e l’8 settembre del 1943, infliggendo così altri due anni di guerra civile agli italiani e a lui medesimo il gancio di Piazzale Loreto.

Di là delle similitudini, una riproposizione tout court di Piazzale Loreto sarebbe oggi inverosimile ma l’implosione della nostra democrazia è, invece, vero similissima.

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