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I medici di Prato o il vile dalla Valle Aurina?

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In questo difficile momento storico dobbiamo acquisire consapevolezza anche di quello che poi è il padre di tutti i nostri problemi: aver consentito il radicamento al potere di una classe dirigente che, in senso generale, definire miserabile è un penoso eufemismo. Pertanto, dobbiamo imporci di emergere dalla quarantena sanitaria, che si avvia alla fine, più determinati perché, a differenza di coloro che stanno portando la nostra esasperazione al limite di rottura, sappiamo essere anche determinati quando vogliamo, non per niente siamo il popolo che è stato capace di mandare a casa i Savoia e, in tempi più recenti, Renzi, quando era al culmine del consenso
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Nella giornata di Pasqua – una festa di speranza e di pace per i credenti cristiani – sono accaduti due episodi che la dicono lunga sul nostro ambivalente modo di essere: su delega papale i medici dell’ospedale di Prato hanno somministrato la comunione ai pazienti colpiti dal coronavirus e recitato una preghiera per quelli intubati. Più o meno nelle stesse ore, sul Monte Lupo della Valle Aurina, un escursionista si è rifiutato di soccorrere un altro escursionista stramazzato a terra per un malore. La domanda che ci poniamo a questo punto è: «Quale dei due fenotipi – il medico eroe o l’escursionista vile – ci rappresenta meglio?».

E sì, perché finiti i giorni delle bandiere esposte sui balconi e delle canzoni condominiali, che per qualche settimana ci hanno fatto sentire uniti e solidali con chi stava combattendo in prima linea il Covid-19, adesso dobbiamo iniziare a fronteggiare non più sentimentalmente questa sconcertante emergenza sanitaria, con le sue imprevedibili conseguenze, ma sul terreno delle cose concrete. Stiamo, infatti, per uscire dai fortilizi delle nostre case dalle quali, diciamo la verità, è stato facile fare i patrioti e versare qualche lacrima per le oltre 20.000 persone morte annegate nel loro stesso muco o per i tanti medici che, per scelta consapevole, si sono battuti, e molti sono anche morti, in prima linea. Questo, però, significherà che dal prossimo 3 maggio, quando pare che l’Italia riaprirà i battenti, dovremo confrontarci con molte brutte cose come, ad esempio, una maggiore povertà del vicino di casa, del fratello, del figlio o dell’amico. E questo significherà anche, almeno fintanto che non sarà pronto un vaccino, che dovremo abituarci a veder stramazzare qualcuno per terra sotto i nostri occhi; significherà che la solidarietà non sarà più in una canzone o nell’esposizione del Vessillo Nazionale, ma nella nostra consapevolezza di essere parte di una grande tragedia.

Perché, si starà domandando qualcuno, in che modo potrà aiutarci la consapevolezza di un avvenimento che, come un fiume in piena, rischia di travolgerci tutti, buoni e cattivi? Serve, credeteci. Infatti, se fin dagli inizi del diffondersi del Covid-19 avessimo nutrito una maggiore consapevolezza, probabilmente avremmo potuto limitare i danni. E, invece, siamo stati traviati dai cattivi maestri istituzionali i quali, mentre la morte sotto forma di epidemia si avvicinava all’Italia a grandi passi, essi ignoravano il pericolo preferendo dedicarsi alla sconcertante organizzazione dei cosiddetti aperitivi antipanico con grande affluenza di persone, oppure all’idiota slogan “Milano non chiudeBergamo non chiude”. I risultati catastrofici di questo ideologico e criminale approccio iniziale con la pandemia sono sotto gli occhi tutti quelli che vogliono vederli e, in ogni caso, ne parlerà prossimamente il nostro Silvio Cortina più compiutamente.

Ma in questo difficile momento storico noi italiani, popolo carico di difetti quanto si vuole ma non disumano e neppure stupido, dobbiamo acquisire consapevolezza anche di quello che poi è il padre di tutti i nostri problemi: aver consentito il radicamento al potere di una classe dirigente che, in senso generale, definire miserabile è un penoso eufemismo. Pertanto, dobbiamo imporci di emergere dalla quarantena sanitaria, che si avvia alla fine, più determinati oltre che consapevoli perché, a differenza di coloro che stanno portando la nostra esasperazione oltre ogni limite di rottura, sappiamo essere anche determinati quando vogliamo, non per niente siamo il popolo che è stato capace di mandare a casa i Savoia e, in tempi più recenti, Renzi, quando era al culmine del consenso.

Soltanto così, nonostante Indro Montanelli sostenesse che gli italiani volevano fare la rivoluzione col permesso della Questura, potremmo dare il primo e per adesso pacifico segnale di una rivoluzione sociale che – anche se i dilettanti allo sbaraglio che ci governano non se ne sono accorti –  il Covid-19 sta accelerando e, soprattutto, decidere se vogliamo identificarci negli altruisti medici dell’ospedale di Prato oppure nel menefreghista escursionista della Valle Aurina.

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