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Feltri, cavallo di razza del giornalismo o ciuco?

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Verrebbe gioco facile ricordare al direttore de Il Giornale come istituzioni che ancora oggi sono il vanto di Milano e della Lombardia, quali La Scala, Il Corriere della Sera e l’Alfa Romeo, solo per citarne alcune perché l’elenco sarebbe molti lungo, non esisterebbero se non fosse stato per l’intuito o per l’intervento di alcuni lungimiranti uomini provenienti dal Centrosud d’Italia
– Enzo Ciaraffa –

Qualcuno – non ricordo chi in verità – ha scritto che un asino può anche fingersi un cavallo ma prima o poi raglia e, così, si scopre la sua vera natura. Non che io voglia dar dall’asino a Vittorio Feltri se osservo che egli, fin dagli esordi, ha cercato di imitare, nei toni e nella verve, un mito del giornalismo italiano, Indro Montanelli, al quale peraltro diede il cambio come direttore del quotidiano Il Giornale nel 1994: questo, però, è l’unico punto che i due giornalisti hanno avuto in comune. Ciò perché, a differenza di Feltri, Montanelli aveva saputo maneggiare l’ironia con grande eleganza, riuscendo a fustigare i difetti degli italiani senza ricorrere alla sguaiatezza od all’offesa gratuita, in forza del fatto che sapeva utilizzare al meglio anche la sua grande conoscenza della storia, e quando un fatto è storicamente contestualizzato v’è poco da offendersi.  Certo, aveva un caratteraccio tutto toscano ma poteva permetterselo perché, sia come giornalista che come storico, sapeva separare sempre la critica dal pregiudizio.

Nella trasmissione “Fuori dal coro” – che non ho visto in diretta – Vittorio Feltri, a proposito della ventilata intenzione del governatore della Campania di voler chiudere i confini della regione ai lombardi, ha sentenziato che «… i meridionali in molti casi sono inferiori». Siccome mi sento innanzitutto italiano e, ahimè, suo connazionale, non utilizzerò contro Feltri, come un randello, le tradizioni e gli insegnamenti che ci hanno trasmesso civiltà, prima locali e poi universali, come la Magna Grecia e la Roma immortale che, se vide la luce su sette colli laziali e non nelle brughiere lombarde una qualche ragione ci dovrà pur essere, e una di esse è la generosità dei popoli centromeridionali. Probabilmente il direttore di Libero, convinto che noi terroni siamo poco più che un’accozzaglia di miserabili nullafacenti sempre stesi al sole, faticherà a capire di quale generosità io stia parlando. Mi riferisco, in realtà, a quella “generosità assimilativa” tipica delle nostre popolazioni, immagino difficile da comprendersi per un soggetto convinto di appartenere alla razza padrona e di stare, perciò, appena un gradino sotto il Padreterno. Tuttavia, gli ricordo lo stesso che noi terroni, dopo essere stati soltanto Umbri, Piceni, Sabini, Osci, Sanniti, Etruschi e Latini, ci fondemmo con i coloni provenienti dalla Grecia prima e con la emergente civiltà latina poi, dando luogo a quegli esperimenti sociali e civili sui quali si basa ancora oggi l’intera civiltà occidentale.

Questa loro propensione alla tolleranza, alla mescolanza culturale e razziale, ha fatto sì che nel corso dei secoli successivi i meridionali riuscissero a convivere senza problemi anche con arabi, normanni, francesi e spagnoli: riuscirà mai il nostro Feltri a capacitarsi di quali grandezze sia capace un italiano nel cui DNA culturale, etico e morale sono confluite tutte queste grandi civiltà? Riuscirò mai a far capire all’orobico collega che la lingua da lui parlata germinò a Roma, si sviluppò in Sicilia, alla corte di Federico II e si istituzionalizzò in Toscana? Come dire sempre di sotto al fiume Po.

Mi verrebbe gioco ancora più facile ricordare a Feltri che istituzioni che ancora oggi sono il vanto di Milano e della Lombardia, come La Scala, Il Corriere della Sera e l’Alfa Romeo, solo per citarne alcune, non esisterebbero se non fosse stato per l’intuito o per l’operato di alcuni lungimiranti uomini provenienti dal Mezzogiorno d’Italia. La mia intenzione, però, e lo dichiaro subito, non è quella di prendere a pesci in faccia Feltri che tutto sommato mi sta pure simpatico, ma anzi di dargli ragione sulla “inferiorità” di noi meridionali con, però, delle cifre alla mano, giusto per separare il pregiudizio dai fatti.

Il Centro Studi e Ricerche Sociologiche di KRLS Network of Business Ethics ha analizzato cinque aree italiane di evasione fiscale come l’economia sommersa, l’economia criminale, l’evasione delle società di capitali, l’evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese. In questo ambito si è rilevato che soltanto nei primi mesi dell’anno scorso, l’imponibile evaso è aumentato del 3,8% per un totale di 181,4 miliardi di euro. Ebbene, tra le regioni italiane che, come si suole dire, hanno fatto carne di porco con l’evasione fiscale, troviamo ai primi posti le regioni del Nord, Lombardia in testa, mentre le regioni del Centro Sud occupano gli ultimi posti di questa specie colonna infame dell’evasione fiscale. Vittorio Feltri, dunque, ha ragione da vendere a sostenere che «… i meridionali in molti casi sono inferiori», specialmente in fatto di truffa all’erario su scala industriale aggiungo io, e se fossi sicuro della sua costante sobrietà, mi intratterrei ben volentieri con lui sull’utilità delle figura retorica dell’antitesi… . Ma ci siamo capiti lo stesso.

Eppure, nonostante la mia immarcescibile meridionalità (di italiano unitario però…), non riesco ad avercela con Feltri perché, oltre a sparare minchionate proto-leghiste ogni tanto, è un uomo sì da prendere talvolta col randello ma, paradossalmente, è anche simpatico e sanguigno. Come dire un po’ folclorico.

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