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È il ritmo della produzione il Moloch che divora i lavoratori

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Forse la causa di tante morti sul lavoro risiede soprattutto nei forsennati ritmi di produzione e, d’altronde, per rendersene conto, gli ispettori del lavoro, se esistono ancora, dovrebbero soltanto andare a dare un’occhiata a ciò che succede ai turnisti di notte in alcune attività produttive e commerciali, specialmente in quelle della grande distribuzione, dove si fa strame della dignità della donna o dell’uomo prima che dei lavoratori: in alcuni di questi luoghi la prevaricazione è la norma

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Dal 1 gennaio al 31 luglio di quest’anno, le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail (dato aggiornato al 31 luglio 2021) sono state 312.762, mentre i morti risultano in calo perché riferiti a 677 casi rispetto ai 716 dello stesso periodo dell’anno precedente. Come dire che fino a oggi ci è andata bene perché abbiamo avuto soltanto tre incidenti mortali al giorno sui luoghi di lavoro, il che colloca l’Italia tra i Paesi europei con il più alto numero di morti sul lavoro: assolutamente inaccettabile!

La domanda che ci poniamo a questo punto è il perché di un sì orrendo primato in un Paese che ha normato perfino il “rispetto dei principi ergonomici”, che soltanto Dio sa che cavolo questo voglia significare di preciso. Ma è nell’articolo 15, comma a, del Decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro che s’incomincia a intravedere uno dei perché di un così alto numeri di morti sul luogo di lavoro, laddove questo si propone come “La valutazione di tutti i rischi per la salute e sicurezza”. Proponimento velleitario… sfidiamo chiunque a redigere un piano di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro senza che a monte vi sia la temperanza dei ritmi del lavoro! Peraltro, un lavoratore italiano, mettiamo dell’edilizia, prima di entrare in un cantiere deve indossare i dpi o dispositivi di protezione individuale come casco, scarpe antinfortuni, guanti, occhiali paraschegge, eccetera, perciò quando ci scappa il morto vuol dire che non erano stati valutati proprio tutti i rischi, come si proponeva il suddetto articolo 15, perché è impossibile farlo. Forse le cause dell’abnorme mortalità sui luoghi di lavoro vanno ricercate altrove, là dove nessuno vuole andare a ficcare il naso per paura di rimetterci qualcosa: il datore di lavoro per non rimetterci la libertà e il portafoglio, il sindacato per evitare l’accusa (fondata) di non fare più gli interessi dei lavoratori, lo Stato per non perdere la ricca prelazione fiscale sul costo del lavoro.

Sono soprattutto i governi a non essere mai riusciti ad andare oltre il solito decreto legge sui ritmi negrieri imposti ad alcune categorie di lavoratori, e anche qui se ne capisce il perché: per far fronte al prelievo fiscale del 45,20% da parte dello Stato sul costo del lavoro, praticamente la metà del guadagno, il datore di lavoro ha soltanto due possibilità per poter sopravvivere sul mercato: rifarsi sui salari o aumentare i ritmi di produzione. Ecco, forse la causa di tante morti risiede soprattutto nei forsennati ritmi di produzione e, d’altronde, per rendersene conto, gli ispettori del lavoro (ma esistono ancora?) dovrebbero soltanto andare a dare un’occhiata a ciò che succede ai turnisti di notte in alcune attività produttive e commerciali, specialmente in quelle della grande distribuzione, dove si fa strame della dignità della donna o dell’uomo prima ancora che dei lavoratori.

Per risolvere questo problema è inutile contare sulle organizzazioni sindacali ormai da anni acriticamente schierate con la Sinistra capitalista, visto che la proposta più intelligente venuta dalla Cgil – Fillea sullo scottante tema è stata d’introdurre una specie di patente a punti come quella automobilistica, che punisca o premi le aziende, colpevoli e non, di incidenti sul lavoro. Il principio della patente, pare di capire, sarebbe questo: nella tua azienda hai avuto pochi morti sul lavoro? Sei un quasi virtuoso. Hai avuto molti morti? Allora sei un fetente matricolato! E, giusto per rimanere sul macabro, perché, come sulle patenti di guida di una volta, non costringere il datore di lavoro a incollare su di essa un bollino riportante un teschio? Così, dal numero dei teschi, gli ispettori del lavoro capiranno subito con che tipo di datore di lavoro hanno a che fare.

Ritornando, poi, alle cose dannatamente serie, bisogna dire con forza che è inammissibile che un lavoratore possa morire per guadagnarsi in modo onesto un onesto tozzo di pane, ma che è addirittura criminale costringerlo a scegliere tra salario e sicurezza.

Domanda finale a tutte le parti in causa: ma con tanti morti sulla coscienza riuscite a dormire la notte?

(Copertina di Donato Tesauro)

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