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Dove ci portano i droni

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I russi, che sanno bene di non essere irresistibili nei combattimenti sul terreno, lunedì scorso hanno impiegato anche i droni iraniani Shahed-136 per bombardare l’Ucraina a tappeto. Questo fatto dovrebbe preoccupare più delle quotidiane sparate di Putin & Soci sull’eventuale impiego di ordigni nucleari tattici, perché la contropartita che potrebbero aver ricevuto gli ayatollah dalla Russia sarebbe, sul medio periodo, motivo di grande pericolo per Israele e di conseguente destabilizzazione per l’intera area mediorientale, per l’Asia Centrale e con un effetto domino anche sull’Islam rivierasco nel Mediterraneo Orientale

– Enzo Ciaraffa –

Gli indiscriminati bombardamenti e attacchi missilistici a tappeto effettuati dai russi sulle città ucraine in queste ore dovrebbero avere, in un certo qual modo, chiarito le idee a coloro i quali sostengono, qualche volta anche in buonafede, che non bisogna inviare armi agli ucraini sennò la guerra non finirà mai. Non ce n’è uno di essi, però, che dica come accidenti farla finire questa guerra senza consegnare semplicemente gli aggrediti al boia sedente al Cremlino.

È pacifico che tutte le persone normali vogliano la fine di questa guerra, solo che il sottoscritto e tanti altri sono convinti che uno spiraglio di pace si aprirà soltanto quando l’aggressore, grazie alle armi fornite dai Paesi Nato e dall’Unione Europa, avrà realizzato che quella sua potrebbe essere la classica vittoria di Pirro. Sì, perché anche un individuo rozzo e frustrato come il compagno Vladimiro deve capire (o glielo faranno capire i suoi prima o poi…) che la capacità di radere al suolo città e villaggi alla fine non assicura matematicamente la vittoria.

Infatti, il bombardamento a tappeto di Coventry del 14 e 15 novembre del 1940, rasa al suolo da un mezzo migliaio di bombardieri tedeschi con 500 tonnellate di bombe, alla fine non assicurò la vittoria alla Luftwaffe ma alla Royal Air Force, in quella che viene ricordata come la prima fase della Battaglia d’Inghilterra. Ciò fu possibile perché la barbarie tedesca aveva fatto incazzare ancor di più gli aggrediti.  

Alla luce di questo precedente storico e di tanti altri dopo la II Guerra Mondiale, come la decolonizzazione dell’Algeria, il Vietnam e più recentemente l’Afghanistan, il “metodo Surovikin”, riferito al generale Sergei Surovikin appena nominato comandante delle operazioni russe in Ucraina e meglio conosciuto come il boia di Aleppo, potrebbe non bastare a Putin per vincere la guerra se non massacrando 44 milioni di ucraini. Il problema, semmai, è capire per quanto tempo, al di là delle dichiarazioni ufficiali, la pavida Europa sia ancora disposta a sostenerli con armi e soldi.

Peraltro, ci sono due campanelli d’allarme che in Europa non tutti hanno sentito, ma in Medio Oriente, in Asia, in Israele e a Washington sì: mentre noi discutiamo se fornire o meno gli aiuti militari all’aggredito, ci sono Paesi che droni e aiuti li stanno fornendo all’aggressore, come forse starà discretamente facendo la Cina con la logistica, molto probabilmente la Corea del Nord con le armi che sono di produzione russa e l’Iran degli ayatollah in un momento in cui sono visti come il fumo negli occhi dall’opinione pubblica mondiale per le loro brutalità oscurantiste sulle donne.

I russi, che sanno bene di non essere irresistibili nei combattimenti sul terreno, lunedì hanno impiegato anche i droni iraniani Shahed-136 (per i russi Geran-2) per bombardare l’Ucraina. E questo fatto dovrebbe preoccuparci più delle cicliche sparate di Putin & Soci sull’eventuale impiego di ordigni nucleari tattici, perché la contropartita che potrebbero aver ricevuto gli ayatollah sarebbe, sul medio periodo, motivo di grande pericolo per Israele e di destabilizzazione dell’intera area mediorientale, dell’Asia centrale e con un effetto a catena sull’Islam rivierasco del Mediterraneo Orientale. Mi riferisco all’assistenza tecnologica che, in cambio di droni e di altre armi, la Russia potrebbe aver fornito al programma nucleare che l’Iran sta portando avanti da anni, per scopi pacifici sostiene, ma in realtà per dotarsi di una bomba atomica islamista da agitare sulla testa dell’odiata Israele.

È vero che anche gli ucraini, per difendersi, stanno impiegando droni turchi Bayraktar TB2 contro gli invasori russi, ma con la sostanziale differenza che il suo produttore, la Turchia, dall’Ucraina in cambio può attendersi soltanto qualche bastimento con le stive piene di grano e tanto prestigio, se Erdogan riuscirà – come sta tentando di fare da mesi – a mettere seduti allo stesso tavolo Putin e Zelensky.  

Concludiamo ricordando ai pacifisti duri e puri, ai marciatori della pace in servizio permanente, che se in Ucraina Putin dovesse uscirne bene, nella migliore delle ipotesi tramonterebbe quella nuova visione dell’Europa che per molti popoli, specialmente a Est del nostro continente, doveva essere il “sogno europeo” che, purtroppo, si sta trasformando in incubo per la debolezza e le ipocrisie di molti dei suoi nobili principi fondativi.

Per dirla meglio, nell’Unione Europea stanno prevalendo gli interessi nazionali dei singoli Stati-membri in un momento storico in cui l’Europa doveva essere unita e cazzuta e, invece, si sta dimostrando divisa e inefficace, mentre si va eclissando anche l’american dream e l’impegno militare yankee nel Vecchio Continente.

Per cui, deboli e divisi come siamo grazie a un’alleanza bottegaia che non è mai diventata anche militare, se Putin dovesse vincere in Ucraina per poi allungare le mani sulla restante Europa dell’Est, allora sì che raggiungeremo la pace in Europa.

Quella dei cimiteri.

E nessuna preoccupazione per i funerali: provvederà a tutto la Cina!

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