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Busto Arsizio, una ricevuta dal passato

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Il 28 maggio del 1943 le cose non andavano bene né a Busto Arsizio, né altrove, a causa di una guerra che era troppo sproporzionata per le nostre capacità militari e soprattutto economiche. L’anno prima addirittura era stata fusa la statua di bronzo della Gloria Alata, che era collocata al centro di piazza Garibaldi, ciò perché non avevamo i metalli necessari per produrre aerei, bombe, carri armati e cannoni occorrenti per una guerra moderna
– Enzo Ciaraffa –

Alcuni mesi fa ebbi in dono da un amico due raccolte di riviste trattanti la storia della II Guerra Mondiale fino all’anno 1941. Quando a casa iniziai a sfogliare le pagine di uno dei volumi, saltò fuori una ricevuta recante il numero 3 del bollettario 8410, e dal suo ottimo stato di conservazione dedussi che nessuno l’aveva più toccata da quando era stata conservata tra le pagine della raccolta … come un inconsapevole Indiana Jones avevo trovato una reliquia del tempo passato! Ebbene, da quel rettangolino di carta che inopinatamente mi ritrovai tra le mani, venne fuori che venerdì 28 maggio del 1943, il bustocco Mario Carnaghi fece il gesto più “normale” che si potesse fare in un periodo della storia d’Italia che di normale non aveva ormai più niente: pagò la rata mensile di cinquanta lire per due volumi di raccolta della rivista quindicinale “Storia”, edita dalla casa editrice Tumminelli & C. di Roma che mi erano stati appena regalati.

Ma in quei giorni la pseudo normalità non era dappertutto diffusa perché quel venerdì, ad esempio, per i livornesi non fu normale, anzi fu tragico poiché durante la notte i bombardieri angloamericani avevano effettuato il primo bombardamento a tappeto della loro città. Nel precedente mese di gennaio, invece, si era conclusa per noi disastrosamente la campagna di Russia; a febbraio gli inglesi ci avevano definitivamente ricacciati dalla Libia e i loro potenti aerei avevano più volte bombardato Milano, radendo al suolo molti stabilimenti, una parte del patrimonio artistico e perfino la sede del Corriere della Sera, facendo un migliaio tra morti e feriti, lasciando diecimila famiglie senza tetto. Nel frattempo gli Alleati stavano mettendo insieme 2.552 navi e 150.000 uomini che nel giro di una quarantina di giorni avrebbero fatto sbarcare sulle coste siciliane per invadere l’Italia dal Sud.

Eppure, mentre si accavallavano  questi e altri avvenimenti in un Paese che era  in guerra da tre anni contro mezzo mondo, nel Varesotto, come sempre laborioso, regnava una calma che era a dir poco surreale: il principale quotidiano locale, la Cronaca Prealpina, che aveva per direttore un gerarca fascista e nipote di Mussolini, Vanni Teodorani, uscì con notizie che spaziavano da sedicenti bombardamenti di aerei dell’Asse in Nord Africa alla celebrazione del diciannovesimo anniversario di fondazione della Milizia Universitaria, dalla distribuzione dei buoni benzina, all’avanzata giapponese in Cina, dalla notizia di un terremoto in Svizzera  alla trasferta della squadra di calcio varesina a Terni. A proposito di sport, quel mese Bruno Bisterzo, pugile bustocco di adozione, aveva riconquistato il titolo europeo dei pesi leggeri. Come dire che a Busto Arsizio e in tutto il Varesotto regnava una calma che, però, era soltanto istituzionale, cioè di facciata, nel senso che il Regio Prefetto stava al suo posto a Villa Recalcati di Varese, come stava al suo posto in Comune a Busto Arsizio il Podestà Ercole Lualdi, mentre l’attrice bustocca Mariella Lotti se ne stava a girare il film Nessuno torna indietro con la regia di Alessandro Blasetti. Insomma, quella del 28 maggio del 1943 sembrava una giornata di ordinaria quotidianità bustocca e, invece, eravamo nel pieno di una guerra furiosa che, di lì a pochi mesi, sarebbe evoluta in una guerra civile altrettanto furiosa.

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Quel giorno di maggio di 77 anni fa una famiglia bustocca di operai, che avesse voluto pasteggiare con una pagnotta di pane e un uovo ad occhio di bue, avrebbe divorato 1/8 dello stipendio dal capo famiglia! Infatti, il burro costava 80 lire il chilo, la farina di frumento 50 lire, l’olio 100 lire il litro, le uova 40-50 lire la dozzina, a fronte di un salario medio di un maschio di 550 lire e quello di una donna 291. Come dire che un mese di lavoro di un operaio bustocco aveva il valore di 11 chili di farina per un uomo e di 6 chili per una donna. Ciò in aggiunta al razionamento dei viveri che, iniziato con l’entrata in guerra nel 1940, era andato via via peggiorando, sicché i ceti meno abbienti assumevano un terzo delle calorie loro necessarie.

Il 28 maggio del 1943 le cose in realtà non andavano bene né a Busto Arsizio, né altrove, a causa di una guerra che era troppo sproporzionata per le nostre capacità militari e soprattutto economiche… l’anno prima addirittura era stata fusa la statua di bronzo della Gloria Alata, che era collocata al centro di piazza Garibaldi, perché non avevamo i metalli necessari a fabbricare cannoni, aerei e carri armati occorrenti per condurre una guerra moderna. Nel frattempo i bustocchi dovevano spesso correre nei rifugi antiaerei come quello di via Magenta.

Eppure, con imperturbabile puntualità, come fosse un giorno normale, in un Paese normale, in un tempo normale, e non nel pieno della II Guerra Mondiale, Mario Carnaghi pagò la sua brava rata mensile alla casa editrice Tumminelli & C. mentre attendeva alla sua abituale attività e, probabilmente, confidava nella buona stella dell’Italia.

A voler vedere le cose con gli occhi di oggi, possiamo di certo sostenere che la fortuna di quella che fu la Manchester d’Italia risiedeva in uomini che, come Carnaghi, sapevano porre il dovere della quotidianità d’avanti a ogni cosa, che sentivano forte la responsabilità degli impegni presi con la vita, una caratteristica che un tempo connotava l’affidabilità di sistema e quel distacco dalla mediocrità che si chiamava “bustocchità”.

Questo almeno è quanto leggiamo nella ricevuta numero 3 del bollettario 8410 e recante la data del 28 maggio 1943.

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