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Berlino, i finti agnelli e le pecore vere

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Qualche osservatore nostrano di area governativa ritiene che la conferenza berlinese sulla Libia sia stata un successo, e per l’immagine della Merkel forse sì, per l’Italia invece temiamo di no. Siamo, infatti, persuasi che quella di Berlino sia stata la passerella delle ipocrisie di Russia, Turchia, Regno Unito, Francia, Egitto, ONU e Unione Europea. Esempio di tali ipocrisie la pelle di agnello della quale si sono ammantati alcuni leader che da mesi stanno soffiando sul fuoco della guerra civile di fronte a casa nostra, con tutti i prevedibili riflessi su economia e sicurezza
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I Paesi partecipanti alla conferenza di Berlino sulla pacificazione della Libia hanno approvato la dichiarazione finale nella quale, in pratica, si concorda sull’aria fritta come la costituzione di un comitato per il cessate il fuoco, di ripristinare il controllo dello Stato sull’esercito, di fare le riforme strutturali, di riavviare il processo politico, d’imporre il rispetto dei diritti umani, sottacendo che la padrona di casa, Angela Merkel, non è riuscita neppure a far sedere allo stesso tavolo i rappresentanti delle due parti in conflitto – al Serraj e Haftar –  né a far firmare loro il documento finale. Ciononostante qualche osservatore ritiene che la conferenza berlinese sia stata un successo … per l’immagine della Merkel forse sì, per l’Italia invece certamente no. Siamo, infatti, persuasi che quella di Berlino sia stata la passerella delle ipocrisie di Russia, Turchia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Egitto, ONU e Unione Europea. Esempio di tali spudorate ipocrisie sono state le parole del presidente francese Macron nel corso di un suo intervento: «Devo esprimere la viva preoccupazione che mi ispira l’arrivo dei combattenti siriani e stranieri a Tripoli deve cessare». Proprio lui che da oltre un anno sta aiutando militarmente Haftar, tant’è che i suoi “consiglieri militari” furono sorpresi in flagrante ai confini con la Tunisia appena lo scorso mese di aprile! Stessa cosa dicasi per gli altri “pacificatori” come la Turchia, l’Egitto e la Russia.

Da come è andata la conferenza di Berlino ce ne ricorda un’altra pure avvenuta in terra tedesca, quella di Monaco del 1938 quando l’Europa sacrificò la libertà della Cecoslovacchia a Hitler in nome della pace che, peraltro, durò appena un anno. Temiamo che questa volta il sacrificato di turno, in nome del gas e del petrolio, sia stato il premier al-Serraj, stante che, al momento,  Berlino ha partorito soltanto un rachitico embargo sulle armi eventualmente dirette in Libia (embargo che probabilmente rispetterà soltanto l’Italia) e l’evenienza di una riforma del consiglio presidenziale libico – in pratica il licenziamento del premier prima riconosciuto dalla comunità internazionale – a favore di un consiglio composto di “un nuovo primo ministro e da due vice premier” … bye bye vecchio al-Serraj, non servi più,  il petrolio ce l’ha Haftar, mica tu!

Ma operando in questo modo non si diventa costruttori di pace ma d’ingiustizie perché, come la storia insegna, sostituire i legittimi detentori del potere politico per ingraziarsi l’uomo forte del momento non aiuta a costruire la pace ma soltanto le premesse della guerra.

L’Italia, vaso di cocci tra vasi di ferro a Berlino, ha preso palla sulla questione libica con colpevole ritardo, senza trovar di meglio che appiattirsi sulla dichiarazione finale (quasi) congunta anche se Conte si è mostrato molto soddisfatto: «… passi avanti significativi». Mah, sarà.

Nonostante il cauto ottimismo del Giuseppi nazionale, la morale della faccenda, alla fine, è la stessa degli ultimi settantacinque anni: se non interverranno direttamente gli Stati Uniti nella crisi libica, peraltro provocata anche dalla scriteriata iniziativa di Obama del 2011, la situazione in Libia e in tutta l’area nordafricana potrà soltanto peggiorare nei prossimi mesi. Può piacere e non piacere, ma soltanto quel testone di Trump – al quale il coraggio politico di certo di non difetta –   può mettere un po’ di ordine fuori l’uscio di casa nostra.

Un’altra opzione che sta prendendo corpo in queste ore sulla Libia è una missione navale europea modello “Sophia”, per assicurare che l’embargo sulle armi venga rispettato. Ove tale missione dovesse veramente partire, sarebbe una pacchia per il traffico d’immigrati clandestini perché, in quel caso, in giro nel Mediterraneo non ci sarebbe una ma tante navi militari che di certo li raccoglierebbero. E, al contrario di quei geniali statisti di Conte e Di Maio, noi sospettiamo fin da adesso dove poi li sbarcherebbero gli immigrati raccolti.

Intanto il Generale Haftar che sta tentando da mesi di conquistare Tripoli con l’aiuto dei russi – pure presenti a Berlino in veste di “pacificatori” – ha chiuso i cinque porti strategici ad est della Libia, bloccando così l’uscita di 800.000 barili di greggio ogni giorno, penalizzando in questo modo gli approvvigionamenti energetici indovinate di chi?

Ma tra poche ore, siatene certi, la questione libica così vitale per le sue ricadute sulla nostra già disastrata economia, sparirà dai radar dei media e della politica per lasciar spazio alle polemiche sul mirabolante processo a Salvini e alle adunate festive delle sardine.  La crisi libica riaprirà i battenti a Ginevra il prossimo 27 gennaio, dopo le elezioni regionali in Calabria e in Emilia Romagna.

Tanto per cambiare.

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