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Una ragazza pericolosa

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A tutti i problemi che ha l’Italia aggiungeteci pure una ragazza americana, milionaria, che paga trecento euro l’ora una persona soltanto per farsi consigliare come abbinare i colori e che, indossando giacche di una taglia più grande, pensa di somigliare a un vero proletario e perciò titolata a giocare al radicalismo di sinistra.  Il timore è che qualche coglione possa prenderla sul serio e regolarsi di conseguenza

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La dannazione della Sinistra italiana è sempre stata la litigiosità intestina, grazie alla quale ormai non si contano più i cambi di denominazione con le scissioni intervenutevi in appena un secolo, e la dannata voglia di ritornare alla casa madre comunista, sebbene la bibbia di Marx sopravviva ormai soltanto nelle ultime dittature rosse asiatiche e latinoamericane. Tale premessa per anticipare la nostra preoccupazione per il radicalismo tutto sommato infantile della nuova segretaria del Partito Democratico. Difatti, essendo Elly Schlein ignorante politicamente e culturalmente distante dal reale universo proletario, senza un programma di governo in testa che possa misurarsi con quello (minimo…) della destra liberista in una libera economia di mercato, sta tentando di ripiegare sulla “sessantottizzazione” della lotta politica, senza soppesarne però i rischi che un Paese come l’Italia ha già sperimentato sulla propria pelle e sa dove conducono certe radicalizzazioni anarco-comuniste. E allora è il caso di suggerire alla signorina Schlein (se non è offensivo chiamare signorina una donna autodefinitasi orgogliosamente lesbica) di non continuare a soffiare sul fuoco di ogni sterile protesta che, lo ricordi, è legittima soltanto se non si passa dal dissenso allo squadrismo, perché dallo squadrismo al terrorismo il passo è dannatamente breve.

La segretaria del Pd è troppo giovane per  aver vissuto gli anni insanguinati che vanno dal 1969 al 2002, perché diversamente ricorderebbe che molti politici del tempo, come lei, amavano scherzare col fuoco anche, se a ustionarsi, poi, fu della brava gente, come quei 492 morti ammazzati  tra rappresentanti politici, semplici militanti, giudici, sindacalisti, generali e grand commis dello Stato nell’ambito di ben quindicimila azioni terroristiche di vario tipo, in una situazione sociale che temiamo possa riprodursi anche adesso perché i sintomi sono gli stessi di allora: neo radicalismo sindacale, Stato debole, forte crisi economica, giovani senza futuro e con nessuna voglia di costruirselo, collateralismo dei media schierati e degli uomini di cultura. In quegli stessi anni accadde anche che, essendosi rallentata la corsa a quel benessere che i nostri genitori avevano edificato assieme alla prima Repubblica, molti italiani trovarono il tempo per rendersi conto di avere consentito la nascita della partitocrazia che, poi, sarebbe evoluta nell’attuale “dittatura del sistema” in cui a dominare è stata sempre una Sinistra particolarmente abile a impadronirsi del sottopotere e del potere, anche quando esce sconfitta dalle urne.

Questa usurpazione si rende possibile ancora oggi perché nel nostro ordinamento non è mai esistito il vincolo di mandato parlamentare, in aggiunta al fatto che il boom economico aveva sì prodotto grandi profitti per le principali famiglie industriali e un discreto benessere per i cittadini comuni, ma non la nascita di una solida cultura amministrativa, non la modernizzazione delle strutture statali, che essendo fatiscenti iniziarono a cadere una alla volta sotto la mannaia dei tagliatori di servizi essenziali, anche se all’epoca tali tagli furono pomposamente chiamati “riassetto”. E cotanti riassetti, come quello della Sanità, della Scuola e del sistema tributario che acuivano i dislivelli sociali, invece di andare a colmarli, gli italiani li avrebbero pagati con anni di marasma culturale e amministrativo che del caos politico e sociale sono l’anticamera.

Eppure, nonostante l’alternarsi di governi che in media non duravano in carica per più di un anno, il milione di giovani che nel periodo 1968/1969 era alla ricerca della prima occupazione e le università rigurgitanti di studenti privi di prospettive, il Sessantotto (dove si sarebbe definitivamente costruita la leggenda progressista e l’arroganza della Sinistra), non trovò innesco da noi ma in Francia, anche se tra tutte le nazioni europee fu l’Italia che si ustionò malamente col fuoco acceso dagli studenti francesi. E non poteva che andare a finire così con una classe politica che, allora come oggi, non voleva capire che, ri­fiutandosi d’interpretare oggettivamente i diritti e (soprattutto) i doveri previsti da quella Costituzione che pure citava e cita ad ogni piè sospinto, avrebbe finito con alimentare lo spirito di revanche in coloro che da essa si sentivano traditi e provocare la militarizzazione della con­flittualità sociale e politica, innescando perverse derive pseudo rivoluzionarie di diverso colore. Di lì a qualche anno, infatti, avrebbero fatto la loro tragica comparsa sulla scena quei movimenti che si definivano rivoluzionari, che invece null’altro erano che congreghe di fanatici assassini, le Brigate Nere e Rosse: queste ultime continuarono a uccidere fino al 2002.

Il verbo rivoluzionario dei brigatisti, per fortuna, non ebbe una diffusa presa sui giovani nonostante un certo impegno profusovi dalla Sinistra estrema e dell’élite pseudoprogressista, il perché era spiegabile: i figli del benessere, pur amando intrupparsi in marce di protesta o esibirsi in concioni contro lo «Stato totale», non pensavano di abbatterlo realmente, perché anche i più sprovveduti tra essi avevano compreso che Stato liberale, società di massa e benessere erano inscindibili. E, poi, dal 1968 al 1989 la Sinistra italiana ha perpetrato una truffa ideologica, perché nessun partito marxista di massa poteva ragionevolmente pensare di fare una rivoluzione lasciando intatta la struttura borghese dello Stato.

Ma neppure la più tiepida Sinistra socialista voleva realmente la palingenesi dello Stato capitalista dal momento che questo, scaricandone i costi sul debito pubblico, tendeva ad appagare le sue richieste populistiche dilapidando così anche le risorse della ge­nerazione successiva: per ottenere tale scopo alla sinistra bastava tenere i governi sotto il costante ricatto della sollevazione della piazza da parte dei sindacati – dépendance. Tra le varie follie populiste ricordiamo le baby pensioni introdotte in Italia nel 1973 dal governo di centro sinistra presieduto da Mariano Rumor, allo scopo di fermare, da sinistra, l’ascesa del Partito Comunista che all’epoca veleggiava verso il 34, 37 del consenso, sicché andarono in pensione molti dipendenti pubblici a soli 35/39 anni. Infatti, è stato anche per follie di quel tipo che oggi i lavoratori devono andare in pensione rasentando i settant’anni, mentre i loro figli la pensione neppure la vedranno.

Se questo è stato il prodotto, forse bisognerebbe trovare l’onestà intel­lettuale di ammettere che gli anni della contestazione furono per molti giovani soltanto una scampagnata emotiva nell’agriturismo delle ideologie, dopo di che la maggior parte di essi poi se ne tornò a casa, alla grassa società del benessere, della quale non sapevano fare a meno, allora come oggi. La riprova? Avete visto, la scorsa settimana, gli universitari accampati fuori le università per protestare contro l’alto costo degli alloggi? Ebbene, il loro spirito rivoluzionario è durato dal lunedì al venerdì sera quando se ne sono ritornati a casa, agli abiti firmati, agli aperitivi e allo sballo del sabato sera. Di certo questi giovani dei terroristi non lo diventeranno mai.

A questo punto vi starete domandando su dove poggiano allora i nostri timori che possa iniziare una nuova stagione del radicalismo politico.  Poggiano sull’oggettiva costatazione che lo Stato centrale è oggi debole più di ieri, sia rispetto all’Europa, sia per dinamiche interne che esterne; poggiano sui mai definiti rapporti e competenze Stato-Regioni; poggiano sulle immagini a testa in giù di governanti democraticamente eletti ed esposte fuori dalle università; poggiano sulle bande di fascistelli rossi che impediscono il pacifico confronto negli organi di rappresentanza delle scuole; poggiano sulla gazzarra inscenata al salone del libro da parte di una banda di squadristi rossi che ha impedito l’esercizio della parola  ad un ministro della repubblica; poggiano sul fatto che l’attuale Capo dello Stato non si chiama né Pertini, né Cossiga. A tutto questo aggiungeteci una signorina americana, milionaria, che paga trecento euro l’ora una persona soltanto per farsi dire come abbinare i colori e che, indossando giacche di una taglia più grande, pensa d’incarnare l’universo proletario e perciò titolata a giocare all’anarco-comunista.  

Il nostro timore, alla fine, non è che Elly Schlein possa mettersi a capo di un progetto di sovvertimento delle istituzioni, figuriamoci, ma che qualche coglione, che è già passato alla prima fase della militarizzazione del dissenso con gli imbrattatori di monumenti e luoghi istituzionali in nome dell’ecologia, possa prendere sul serio i suoi vaneggiamenti infantili o, se credete, da rivoluzionaria de noantri, e alzare il livello dello scontro con le istituzioni mediante azioni più drammatiche.

Oddio, se alla giovane segretaria del PD togliamo la sua rivoluzione due punto zero che cosa le resta?

Niente di niente! Ma è proprio per questa ragione che le suggeriamo di non continuare a mettere, come si dice a Napoli, ‘O ppepe nculo ‘a zoccola e dedicarsi, invece, alla realistica costruzione di un progetto politico che sia alternativo a quello della destra liberale. E la cosa non dovrebbe esserle molto difficile dal momento che, per sua natura, la destra non ama fare programmi ma seguire filosofie economiche.

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