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Perché io miscredente starò ad aspettare il Bambino a mezzanotte

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Indipendentemente dai convincimenti religiosi, la celebrazione della nascita di Gesù bambino è la ricorrenza giusta per far esplodere nel nostro cuore, e nella nostra mente, una tempesta perfetta, come dire fideistica eppure razionale, di grande significato etico – filosofico e tuttavia semplice o addirittura casereccia. Ciò perché, come le tempeste, il rinnovarsi della lieta novella lascia dietro di sé un humus spirituale capace di rendere migliori le azioni dell’uomo, perché il Natale non è tanto un impegno di Dio verso l’uomo quanto un impegno dell’uomo verso Dio
– Enzo Ciaraffa –

Potrebbe sembrare paradossale il fatto che io, scettico sulla sua reale esistenza e divinità, senta la necessità di scrivere del bambin Gesù, ma questo dipende dal fatto che, nonostante gli intimi convincimenti, Lui, a mio dispetto, continua a vivere in una dimensione dalla quale mille e più circonvoluzioni filosofiche non sono, evidentemente, riuscite a cacciarlo: nei ricordi di quando ero bambino.

Per quanto i loro buoni insegnamenti li abbia persi lungo le tortuose strade della vita, i miei genitori mi educarono nella religione cristiana che, proprio in questo periodo, trovava la sua massima espressione popolare in due eventi, come la messa di mezzanotte della vigilia di Natale e la collocazione della statuina di Gesù bambino nel presepe di casa. Convincimenti di oggi a parte, ricordo, e con tenerezza, quelle notti magiche di tantissimi anni fa come fosse ieri, quando con papà, mamma e i miei due fratelli ci recavamo a piedi alla messa tenendoci per mano: eravamo un minicorteo che, assieme a tanti altri, muoveva in direzione della chiesa del paese, per confluire come ruscelli nel grande fiume della Fede e di una sentita tradizione popolare.

Faceva sempre freddo la notte della vigilia di Natale ma non lo sentivo, talvolta pioveva ma non mi accorgevo di stare a bagnarmi, mi veniva puntualmente sonno durante la funzione religiosa, ma non mi addormentavo perché volevo veder nascere il re dei cieli nelle braccia del sacerdote che, come tutti gli anni, ne depositava la piccola statua nella culla-mangiatoia ai piedi dell’altare mentre, solenne si levava un canto che ormai adulti e bambini conoscevamo a memoria: «Venite, venite in Betlemme…».

Dopo la messa, espletato l’allegro rituale degli auguri fuori la chiesa a conoscenti, amici ed anche a paesani sconosciuti, si ritornava a casa per depositare, prima di andare a dormire, la statuina di gesso del Bambinello nella mangiatoia del presepe e le bucce di arance nel braciere ancora acceso perché – era precisa volontà della mamma – dovevamo accogliere come si conveniva il Redentore: il profumo delle bucce di arance al posto dell’incenso. E da quel momento tutto assumeva un senso compiuto per noi bambini, come il vestito buono dell’indomani, il ricco pranzo di Natale, il panettone fatto in casa, le tombolate serali, le visite ai parenti per gli auguri, il regalo ai nonni, il cosiddetto “canisto” ovvero un grande cesto di vimini intrecciati pieno di prodotti alimentari.

Ma col passar del tempo, il Natale ha assunto per me significati che, pur non avendo molto a che vedere con la religione cristiana, hanno continuato a segnare positivamente la mia vita perché, ogni anno, essi avevano il potere di riportarmi il profumo di un’infanzia lontana, il rinnovarsi dell’equilibrio – quasi un patto – tra il soprannaturale e il naturale, tra lo spirito e la ragione. Pulsioni, queste, indispensabili per poter immaginare un anno nuovo ricco di progetti e di pensieri positivi, come dire la festa degli uomini di buona volontà desiderosi di pace e di progresso indipendentemente dalla loro fede.

Quello era un tempo il Natale per il mondo cristiano, e anche per gli scettici come me che, anzi, ancora oggi inclino ad attribuire a questa ricorrenza un grande potere evocativo perché i figli adulti tornano, per quel giorno, a riunirsi come da bambini presso i genitori e talvolta sembra che tornino a stare accanto a noi, soltanto per qualche ora purtroppo, anche le persone che amammo e che non ci sono più. Insomma, indipendentemente dai convincimenti religiosi, la celebrazione della nascita di Gesù è la ricorrenza giusta per far esplodere nel nostro cuore, e nella nostra mente, una tempesta perfetta, come dire fideistica eppure razionale, di grande significato etico – filosofico e tuttavia semplice o addirittura casereccia. Ciò perché, come le tempeste, il rinnovarsi della lieta novella lascia dietro di sé un humus spirituale capace di rendere migliori le azioni dell’uomo, perché il Natale non è tanto un impegno di Dio verso l’uomo quanto un impegno dell’uomo verso Dio.

Poi sulla natività del Cristo ci ha voluto mettere le mani uno dei governi più sgangherati e deleteri che questo sfortunato Paese abbia mai avuto – che di pessimi governi pure ne ha sperimentati – il quale, dopo aver prima snobbato l’epidemia di Covid-19 proveniente dalla Cina perché era una roba, diceva, inventata dalla destra sovranista, ha inanellato disastri logistici uno appresso all’altro. Sicché, non avendo saputo inventarsi null’altro per raffrenare i contagi, questo governo tardo – marxista non ha trovato di meglio che confinarci in casa e inducendo perfino la Madonna ad un parto prematuro, avendo deciso che Gesù bambino non debba nascere alla mezzanotte della vigilia di Natale ma alle 22,00, perché a quell’ora i fedeli in chiesa non sarebbero propagatori del virus che loro prima negavano, a mezzanotte, invece, sì. E questa grande minchionata ha ottenuto pure il tacito beneplacito del vicario in terra del nascituro della mangiatoia, il papa, il quale, per essere più politicamente corretto del governo, anticiperà la messa addirittura alle ore 19.30.

Pertanto, quando Gesù bambino arriverà a mezzanotte, per la prima volta dopo due millenni, troverà il tempio sbarrato e non, come una volta, persone felici e visi allegri di adulti e bambini, ma un Paese ingrugnito e senza fiducia nel suo futuro, una situazione, questa, che il suo vicario ha perfino benedetto perché, parole sue, ci consentirà di trascorrere un Natale “… più vero”. Un convincimento tanto cinico quanto insensato! E sì, perché questo suo Natale vero ci è costato, ad oggi, 70.000 morti, centinaia di migliaia di operai prossimi a finire in mezzo alla strada, altri seicento miliardi di un debito pubblico già spaventoso di suo, un sistema economico e industriale che ha buone probabilità di collassare nel corso dell’anno nuovo.

Certo sarà difficile far capire a questo papa, che ha fatto collocare in Piazza San Pietro un presepe orrendo e al limite del ridicolo, che mezzanotte è una “ora di transito” e perciò magica per rappresentare un evento magico per definizione. Come si fa a spiegare a Conte ed ai ministri del suo governo – gente che immagino priva di trasalimenti interiori – che a mezzanotte della vigilia di Natale l’attesa del mondo cristiano è tanta che il cielo e la terra sembra trattengano il respiro per l’arrivo del Redentore.

Ma non tema il piccolo Gesù, nonostante l’impegno demolitorio dei nuovi farisei di Roma, a mezzanotte della vigilia di Natale egli non rimarrà nudo e piangente davanti alle chiese sbarrate perché saremo in milioni ad attenderlo, tra essi anche un miscredente inveterato come me che, dopo le libertà elementari, non è disposto a farsi rubare anche il più bel ricordo della sua infanzia.

Questa Vigilia, perciò, aspetterò a piè fermo stavolta, il piccolino della mangiatoia a mezzanotte precisa, e non prima come vorrebbero Conte e il papa, per depositarlo ancora una volta in quel recesso caldo e sincero dal quale, in fondo, non è mai uscito: nel mio sognante cuore di bambino.

Ma forse “sognante” è dire poco perché amavo pensare, quelle magiche notti della Vigilia di tanti anni fa, che la stella cometa si fermasse un attimo sopra la nostra chiesa prima di proseguire per Betlemme, ma avevo paura di contaminare il prodigio e, perciò, non andai mai ad accertarmene.

Chissà, forse si fermava per davvero.

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