Lo strabismo di Anpi sull’Ucraina toglie significato alla Resistenza
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Se gli alleati durante la II Guerra Mondiale non li avessero riforniti di armi per aiutarli a combattere i nazifascisti, i partigiani del Nord Italia sarebbero dovuti rimanere nei rifugi di montagna, dove spesso si rifugiavano per sfuggire alle retate dei repubblichini e dei nazisti, a prodursi in cori di “Bella ciao” d’avanti alla fiamma dei camini e a mangiare castagne arrostite sulla brace
– Enzo Ciaraffa –
Nel 1946 i nostri vertici militari apparivano così screditati dagli accadimenti, che li avevano visti vili e fuggitivi protagonisti dell’otto settembre che, quando si trattò di affrontare in seno alla Costituente il tema della difesa nazionale, i politici ne tennero fuori i tecnici e cioè i generali, anche se non tutti i cosiddetti padri costituenti, fuggitivi anche prima di loro, avevano le carte in regola per lanciare accuse di fellonia.
Nel corso delle sedute assembleari della Costituente il confronto sul tema della difesa militare fu animato, tra gli altri, dal comunista Palmiro Togliatti (rientrato in Italia dalla Russia dove si era rintanato durante il fascismo) e dal democristiano Aldo Moro, un vecchio arnese di sagrestia che esordì dichiarandosi (sic!) antimilitarista. Andò un po’ meglio nella seduta del 21 maggio 1947, dove un costituente ricorse a toni patriottici per esporre il suo pensiero sulla fisionomia che si sarebbe dovuto dare al futuro esercito italiano, un personaggio che, data la provenienza politica, di certo non amava l’esercito dello Stato borghese: il comunista Arturo Colombi.
Questi, un ex partigiano, perorò la creazione di un esercito che fosse un’armata popolare efficiente e persuasiva: «Per difendere la nostra neutralità e la nostra pace, è necessario che abbiamo un’armata capace di farlo, un’armata cui affidare il compito di difendere le nostre frontiere e che soprattutto sia in grado di dimostrare a qualsiasi eventuale nemico che, se intende minacciare le nostre frontiere, o tenti di occupare il nostro suolo, non potrà farlo impunemente. Bisogna cioè che l’eventuale nemico sappia che troverà una forza armata capace di affrontarlo, che in ogni città, in ogni borgata, in ogni casolare troverà un centro di resistenza e che in ogni caso troverà chi gli rende la vita difficile nel nostro territorio».
Era lo spirito della Resistenza che si sposava con la guerra di popolo di Mazzini, ma anche con la guerra per bande di Garibaldi. Insomma, nel suo sforzo d’immaginare le sembianze del nuovo esercito dell’Italia repubblicana l’ex partigiano Colombi era ritornato alla Resistenza e, almeno dal suo punto di vista, ne aveva ben donde visto che quella nostra è una repubblica nata, appunto, dalla Resistenza che, però, per esplicarsi ebbe bisogno di armi. Proprio a riguardo delle armi utilizzate dalla Resistenza italiana, questo è quanto si apprende dal sito dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) di Lissone del 19 febbraio del 2008: “Solo nel corso degli ultimi quattro mesi di guerra, gennaio-aprile 1945, gli alleati organizzarono 865 lanci di materiale da guerra ai partigiani del Nord. Due terzi di tali lanci riuscirono, cioè 551 per complessive 1.200 tonnellate e precisamente 650 tonnellate di armi e munizioni, 300 tonnellate di esplosivo e 250 tonnellate di altri materiali. Con questi aiuti l’efficacia della Resistenza armata fu maggiore nel Nord d’Italia”.
In altre parole, se gli alleati non li avessero riforniti di armi per potersi battere contro i nazifascisti, i partigiani del Nord Italia sarebbero rimasti nei rifugi di montagna, dove si erano dovuti rifugiare per sfuggire alle retate dei repubblichini di Salò e dei nazisti, a mangiar castagne abbrustolite e ad improvvisare cori di Bella ciao d’avanti alla fiamma dei camini accesi.
E dal momento che persino un bambino di scuola elementare, nel caso della guerra russo-ucraina, saprebbe riconoscere quali sono gli aggressori e quali gli aggrediti, non capisco la presa di posizione del presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo che va aspramente criticando la linea di quei governi occidentali, tra i quali l’Italia, sull’invio di armi all’Ucraina che, eroicamente, sta conducendo una impari lotta contro l’invasore russo. Peraltro, l’Anpi ufficiale, per far capire meglio da che parte sta, ha fatto sapere che ai cortei del 25 Aprile non vuole la bandiera della Nato che, in un certo senso, e in una certa misura, è il vessillo di quelli che avevano dato le armi a quei partigiani della cui memoria e gesta l’Anpi sarebbe la custode.
La Resistenza italiana, come tutte le guerre civili, fu un avvenimento tragico, ma fu anche un avvenimento eroico perché, pur avendo inciso poco o niente sulla guerra, sotto l’aspetto ideale, invece, aveva riportato il nostro Paese nel solco della tradizione risorgimentale. E il Risorgimento, almeno fino al 1848, fu una guerra di liberazione combattuta con armi (poche in verità) che arrivavano dalla Francia, dalla Svizzera e perfino dagli Stati Uniti.
In questi giorni di accese, e strumentali, contrapposizioni qualcuno ha scritto che la Resistenza italiana si è caratterizzata per l’estrema attenzione alla salvaguardia delle vite dei cittadini italiani… e l’attentato di via Rasella, a Roma il 23 marzo del 1944, che provocò la rappresaglia tedesca su 335 innocenti alle Fosse Ardeatine? E non vado avanti in questa conta da necroforo dal momento che non ho nessuna intenzione di contribuire a trasformare questo 25 Aprile nell’ennesima saga delle contrapposizioni, anche perché l’essenza della Resistenza è piuttosto semplice da spiegarsi ai giovani: i partigiani, nonostante i molti errori tattici, erano dalla parte giusta della storia! Ma tutti quelli che si battono per la libertà e l’indipendenza del loro Paese sono dalla parte giusta della storia perché, contrariamente a quanto sostengono il giornale di Travaglio e il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, non esistono Resistenze diverse a seconda del Paese dove esse si sviluppano, visto che il loro obiettivo è sempre lo stesso e si chiama autodeterminazione.
A costoro calza a pennello un pensiero che Giuseppe Mazzini dedicò a Filippo Buonarroti, un rivoluzionario dalle tendenze giacobine e ammiratore di quell’insaziabile tagliatore di teste che fu Robespierre: “Era un uomo profondo, ma assai gretto: conformava la sua vita alle sue credenze; ma era intollerante, e mi tacciava di traditore, se per caso affiliavo un banchiere o un ricco borghese. Era inoltre comunista”.
E perché, quelli che in Italia vorrebbero vedere i cingoli dei carri armati di Putin maciullare il popolo ucraino che cosa sono?
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