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Il Sanremo “contro” dei fustigatori milionari

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La palingenesi musicale è un fatto normale perché intimamente connessa al ricambio delle generazioni che si alternano sul palcoscenico della vita, anche se nonostante l’apertura ai nuovi stili musicali non sempre il festival per antonomasia seppe selezionare accortamente i suoi cantanti. Ma mai fino ad oggi avevo visto un Festival di Sanremo organizzato contro qualcuno, il solito qualcuno
– Enzo Ciaraffa –

Litigioso, un po’ solidarista, un tantinello ambientalista, certamente politically correct: meno male che è terminato, non ne potevo più di quell’orgia di bizze, abbandoni improvvisi, buonismo e di luoghi comuni andata in scena a Sanremo quest’anno!

In effetti il festival che ha appena chiuso i battenti non l’ho seguito in televisione ma tramite i lanci delle agenzie di stampa, anzi a dirla tutta non seguo direttamente Sanremo dal 1968, da quando nella città dei fiori arrivò una nutrita pattuglia di artisti stranieri per cimentarsi col canto all’italiana come, per citarne alcuni, Wilson Pickett, The Sandpipers, Bobbie Gentry, Yoko Kishi, Louis Armstrong, Dionne Warwick, Eartha Kitt, Paul Anka, Shirley Bassey e Timi Yuro. Da quell’anno tutto ciò che era stato Sanremo sino ad allora finì, perché smise di essere il Festival della canzone Italiana per diventare altre cose che, con la canzone italiana, avevano poco a che vedere e che, comunque, non si appastavano con i miei gusti in fatto di musica e di canzoni.

A partire dal 1969, infatti, la kermesse canora più popolare d’Italia fu travolta anch’essa dai grandi cambiamenti politici e sociali che in quel momento stavano agitando il mondo e che non potevano non riflettersi anche sulla musica e sui gusti musicali delle giovani generazioni, sicché iniziarono a fare da apripista i Beatles, l’Equipe 84, i New Trolls, Shel Shapiro e i Rokes.

Per carità, nulla da recriminare: la palingenesi musicale è un fatto normale perché intimamente connessa al ricambio delle generazioni che si alternano sul palcoscenico della vita, anche se nonostante l’apertura ai nuovi stili musicali non sempre il festival per antonomasia seppe selezionare accortamente i suoi cantanti. Ma mai fino ad oggi avevo visto un Festival di Sanremo organizzato sfacciatamente contro qualcuno, il solito “qualcuno”.

Ha inaugurato questo nuovo corso festivaliero Fiorello, costo dell’esibizione 250.000 euro, il quale, non appena è salito sul palco dell’Ariston vestito da prete, l’ha subito buttata in politica: «Questo è l’abito originale di Don Matteo, uno dei pochi Matteo che funzionano in Italia, da solo fa il 35%, con me dentro al 40 ci arriviamo». La stoccata era diretta contro gli altri due Matteo nazionali che, per ragioni diverse, sono in questo momento assai invisi all’establishment e al governo, ovvero Renzi e Salvini, quest’ultimo attaccato anche da Junior Call e Vito Dell’Erba, due cantanti dei quali fino a qualche settimana fa, lo confesso, ignoravo perfino l’esistenza nonostante internet.

Sulla scia di Fiorello ha proseguito Roberto Benigni il quale, non volendo prendersela con Renzi del quale era un sostenitore, tant’è che nel 2016 se l’era portato in America alla corte di Obama con l’aereo di Stato, ha diretto i suoi strali soltanto contro il truce Salvini: «Ora però è cambiato il sistema di voto, si può anche citofonare e dire: qui c’è gente che canta?». Poi, senza curarsi dell’affiorante contraddizione, Benigni si è lanciato nella declamazione del biblico Cantico dei Cantici che si vuole scritto da Salomone, quel grande re d’Israele che nella vita dimostrò di possedere una saggezza e una coerenza di gran lunga superiore alla sua. Peraltro pare che il furbo Benigni quel monologo, costato 300.000 euro ai contribuenti, lo abbia ricicciato da uno spettacolo che tenne al teatro Verdi di Terni nel non troppo lontano 2006… a volerlo guardare c’era davvero poco da scegliere quest’anno al Festival di Sanremo tra maschietti affetti da “primadonnismo”, dei maramaldi e un magliaro!

Vista l’evoluzione della kermesse sanremese, dopo Amadeus, Fiorello, Benigni & C. ho la quasi certezza che in mezzo secolo di festival mancati non mi sia perso proprio niente, eccetto l’esibizione della banda musicale dell’Arma dei Carabinieri.

Gli italiani, invece, hanno perso più di un milione di euro soltanto per l’esibizione di loro tre.

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