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Il giudice deve applicare la legge italiana, non quella dei talebani

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Un soggetto sottoposto a giudizio nel Paese dove ha compiuto il reato viene processato secondo la legge e le consuetudini di tale Paese e non di quelle della sua comunità di origine. Diversamente diverrebbe normale anche assolvere un immigrato proveniente dalla tribù korowai della Papua Nuova Guinea che abbia cotto e mangiato un suo vicino di casa, perché nella sua tribù vige l’uso di mangiare i resti dei compagni uccisi

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Maltrattare e picchiare la moglie non è un reato se tali trattamenti fanno parte della cultura del marito. Più o meno per questa ragione il bengalese Hasan Md Imrul è stato assolto qualche settimana fa dal tribunale di Brescia dall’accusa di maltrattamenti ai danni della giovane moglie. Consideriamo questa sentenza bislacca, antigiuridica e antistorica, un’altra riprova del fatto che la Magistratura stia entrando in una pericolosissima spirale di autoreferenzialità che la induce a ritenersi onnipotente più che indipendente. In questo caso, infatti, oltre al buonsenso il giudice ha disatteso senza patemi anche la sostanza degli articoli 3 e 29 della Costituzione, che escludono, sempre, in ogni caso e in ogni campo, la supremazia maschile sulle donne.

Ritornando all’assoluzione di Brescia, per quanto ne sappiamo noi, un soggetto sottoposto a giudizio nel Paese dove ha compiuto il reato viene processato secondo la legge e le consuetudini di tale Paese e non di quelle della sua comunità di provenienza. Diversamente diverrebbe normale anche assolvere un immigrato proveniente dalla tribù korowai della Papua Nuova Guinea che abbia cotto e mangiato un suo vicino di casa, perché nella sua tribù vige l’uso di mangiare i resti dei compagni uccisi.

Una breve riflessione da porre all’attenzione del giudice bresciano che ha assolto Hasan Md Imrul: scusi vostro onore, secondo lei perché nel 1981 il Parlamento italiano abolì l’articolo 587 del codice penale riguardante il cosiddetto delitto d’onore? Semplicemente perché era un articolo concepito dalla giurisprudenza di una società arretrata e maschilista, in quanto consentiva uno sconto di pena all’uccisore di una congiunta per sedicenti motivi di onore. Eppure anche quella terribile usanza faceva parte della nostra secolare cultura, anzi, sotto sotto la legge tendeva a riconoscerle addirittura la valenza di un nobile fine.

Se permette, vostro onore, glielo ricordimo noi perché quell’articolo fu abolito: era osceno per la legislazione di un Paese passabilmente civile. Esattamente come la sua sentenza.

(Copertina di Laura Zaroli)

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