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Il Conte poeta, la Befana, la Marchesa velleitaria e i rampolli rompiscatole

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Paesaggio di Recanati

Proviamo ad immaginare le serate del povero Leopardi nella biblioteca del palazzo dei Marchesi Roberti, dove si rifugiava mentre il padre partecipava ai conversari della Marchesa: una biblioteca freddissima, vasta, tetra, a malapena rischiarata da qualche lampadario porta candele, mentre i rampolli di casa gli rompevano gli zebedei con i loro sfottò sul suo aspetto fisico

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Com’è noto, il Conte Giacomo Leopardi non andava molto d’accordo con la madre Adelaide la quale, presa a riassestare il patrimonio di famiglia pressoché dilapidato dal marito Monaldo, riuscì ad occuparsi poco dei figli. In particolar modo trascurò Giacomo, del quale non conobbe né la vena poetica, né apprezzava la vita da Bohémien ante litteram che questi conduceva in giro per l’Italia.  Eppure v’era un sentimento che, sebbene per ragioni diverse, li accumunava: l’antipatia per la Marchesa Volunnia Roberti, anch’essa di Recanati.

Questa nobildonna della gretta società dello Stato Pontificio, aveva velleità filosofiche, sicché nel suo salotto teneva spesso dei conversari ai quali, tra gli altri, partecipavano Monaldo Leopardi e il figlio Giacomo appena dodicenne, conversari che dovevano essere di una pallosità unica! Peraltro, mentre il Conte Monaldo si dava da fare per infuocare il salotto culturale di casa Roberti (e pare non soltanto il salotto…), Giacomo era costretto a giocare in libreria assieme ai marchesini, i quali lo deridevano per la sua gobba che, in realtà, era la conseguenza di quel che oggi è conosciuto come morbo di Pott.

Compenetrando la vita di Leopardi un po’ meglio di quanto non facemmo sui banchi di scuola, quando il vate di Recanati ci apparì tanto menagramo quanto incomprensibile e distante, leggendo oggi la lettera “Alla signora Marchesa Roberti” che egli scrisse a dodici anni, ci rendiamo conto di come il suo pessimismo individuale, prima ancora che quello storico e cosmico, si coltivò nell’ambiente familiare e nella società recanatese del suo tempo. Proviamo, infatti, ad immaginare per qualche minuto le serate del povero Leopardi nella biblioteca del palazzo dei Marchesi Roberti, dove si rifugiava mentre il padre partecipava ai conversari della Marchesa: una biblioteca freddissima, vasta, tetra, perché a malapena rischiarata da qualche lampadario porta candele, mentre i rampolli di casa gli rompevano i zebedei con i loro sfottò sul suo aspetto fisico.

Ma “Giacomuccio”, come lo chiamava la padrona di casa, non dimenticò quelle serate-supplizio sicché, appena dodicenne, fingendo di essere la Befana, dedicò una lettera alla Marchesa, ai pedanti frequentatori del suo salotto e, soprattutto, ai suoi pestiferi figli.

Ebbene, in questa lettera che riportiamo per intera, troverete dei termini che perfino oggi, in un’epoca dove la licenza e la scurrilità sembrano essere diventate la norma sui social, sarebbe saggio non utilizzare e che, proprio per questo, si fa fatica a credere che tali termini siano stati generosamente adoperati dal maggior poeta dell’Ottocento e una delle più importanti figure della letteratura mondiale di tutti i tempi.

Carissima signora.

Giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la Neve mi ha rotto le Tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la Piscia nel vostro Portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagattelle per cotesti figliuoli, acciocché siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’altro Anno gli porterò un po’ di Merda. Veramente io voleva destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi. Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l’anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un Orinale, e mischiateli bene bene con le vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l’anessa chiave aprite il Baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perché (sic) sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del Corno che gli tocca, faccia a baratto con li Corni delli Compagni. Se avvanza qualche corno lo riprenderò al mio ritorno. Un altr’Anno poi si vedrà di far meglio.

Voi poi Signora Carissima avvertite in tutto quest’Anno di trattare bene cotesti Signori, non solo col Caffè che già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perché (sic) chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un Pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra Conversazione si chiamarà la Conversazione del Pasticcio. Frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finche (sic) non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo.

La Befana

 

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