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Il Barbarossa finì marinato come le alici e la moglie, poveretta…

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Tutto accadde la domenica del 10 giugno del 1190, al tempo della Terza Crociata, mentre il Barbarossa si trovava nella Turchia asiatica col suo esercito diretto sotto le mura di Gerusalemme occupata dai musulmani. Non volendo seppellire il corpo del loro defunto imperatore in una contrada sconosciuta, i suoi uomini cercarono un modo per conservarne il corpo almeno fino alla città santa. Il caldo di quei giorni, però, fece fallire tutti i loro tentativi, compreso quello di conservarlo nell’aceto
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Assorbiti dalle miserie della politica italiana, non ci siamo accorti che qualche mese fa, precisamente lo scorso 29 maggio, è ricorso l’845° anniversario della Battaglia di Legnano combattuta tra l’esercito del Sacro Romano Impero e le truppe della Lega Lombarda. Ebbene, anche se con un po’ di ritardo vogliamo ricordare questo fatto d’arme andando a rovistare tra alcuni aspetti meno noti di quella battaglia e della morte del suo principale protagonista, che avvenne in un Paese extraeuropeo quattordici anni dopo. Questa la vicenda.

Una colonna di crociati tedeschi, alla cui testa cavalca un uomo piuttosto avanti con gli anni, si è fermata sulle rive del Saleph, un fiume che attraversa la Cilicia e che oggi scorre nel distretto di Cukuva nel sud della Turchia. Ad un certo punto l’anziano comandante, per trovare refrigerio dalla calura opprimente di quei giorni, decide di tuffarsi in acqua ma vuoi per l’età, vuoi perché batte la testa su di qualche ciottolo a pelo d’acqua, annega prima che i suoi uomini riescano a liberarsi delle pesanti armature per tuffarsi in acqua e trarlo in salvo.

Tutto ciò accadde la domenica del 10 giugno del 1190, al tempo della Terza Crociata, e il cavaliere annegato era nientemeno che Federico I Hohenstaufen, meglio noto come il Barbarossa, che si trovava in Asia col suo esercito perché voleva congiungersi con le armate cristiane che combattevano sotto le mura di Gerusalemme occupata dai musulmani. Non volendo seppellire il corpo del loro imperatore in una contrada sconosciuta, i suoi uomini cercarono un modo per conservarne il corpo almeno fino a Gerusalemme dov’era il sepolcro di Gesù. Il caldo di quei giorni, però, fece fallire tutti i loro tentativi, compreso quello di conservarlo in una botte ripiena di aceto. È fu così che si arrivò, giocoforza, alla decisione di smembrarne il corpo e seppellire i vari pezzi in alcune chiese di Antiochia, Siria e Tarso, città natale di San Paolo. Bisogna dire che, nonostante siano passati 831 anni da quel giorno sul Saleph, fa ancora uno strano effetto pensare che il corpo del truce Barbarossa, terrore del papato e dei Comuni italiani, colui che voleva arrostire i milanesi nel rogo della loro città, sia morto affogato e poi finito sottaceto come le alici marinate. Seneca prima e Dante dopo lo avrebbero chiamato contrappasso.

Però, più che la sua biografia che è facilmente reperibile su Internet, a noi interessa capire perché i lombardi, ed i milanesi in particolare, odiassero il Barbarossa al punto che, perfino dopo avergli inflitto la batosta di Legnano non venne meno il loro odio verso di lui e, fecero scolpire sopra l’arco di Porta Tosa l’immagine (ora conservata al Castello Sforzesco) della moglie con le gambe aperte, nell’atto di radersi il pube come usavano fare le prostitute dell’epoca. Insomma, sarebbe interessante capire perché i milanesi, che pure di nemici ne avevano avuti, vollero sfregiare in modo particolare l’immagine di Federico additandone ai posteri la moglie come una grande zoccola e, di conseguenza, lui come un regale cornuto. Un fatto del genere, in verità, ce lo saremmo aspettati in una città di icastici buontemponi come Napoli dove avrebbero ucciso l’immagine dell’imperatrice teutonica con un solo termine: «Si’ na samenta!». Ma – com’è noto – il pensiero dei lombardi è piuttosto complesso …

Forse la ragione di tanto, esagerato livore verso l’imperatrice la svela Carducci nella Canzone di Legnano: «Vi sovvien» – dice Alberto di Giussano – «Che tornando a l’obbrobrio la dimane/Scorgemmo da la via l’imperatrice/ Da i cancelli a guardarci? E pe’ i cancelli/ Noi gittammo le croci a lei gridando/ O bionda, o bella imperatrice, o fida/O pia, mercé, mercé di nostre donne/Ella trassesi indietro». E poi non dimentichiamo che alla base dell’odio dei milanesi v’era anche (e soprattutto…) il danèe. Infatti, quando nel 1158 Federico assediò e occupò Milano per la prima volta, avocò a sé la nomina dei consoli comunali, la riscossione delle tasse e il conio delle monete. Insomma, sottrasse la cassa ai milanesi!

Non contento di esserseli già fatto nemici, Barbarossa il “tetesco”, con teutonica caparbietà, assediò di nuovo Milano nel 1162, e una volta conquistatala la rase al suolo disperdendone gli abitanti, un’abitudine questa che i sui connazionali di alcuni secoli dopo portarono ai massimi livelli di feroce, drammatica organizzazione con la diaspora degli ebrei. V’è da rilevare che tra i più entusiastici demolitori di Milano assieme ai tedeschi vi furono i lodigiani, i sepriesi e i comaschi, alleati del Barbarossa. Perciò, quando parliamo della battaglia di Legnano affermando che fu combattuta tra le truppe imperiali e quelle dei Comuni Lombardi, non è del tutto esatto, perché alcuni di essi combatterono a favore degli imperiali contro la Lega. Ma il 29 maggio del 1176 la famosa battaglia – che vista con gli occhi di oggi appare come una gigantesca rissa – avvenne veramente in località Legnano? E come iniziò? O quale fu l’ordine di battaglia?

Intanto bisogna dire che non si trattò di una preordinata battaglia perché di pianificato non vi fu nulla, ma piuttosto di una “battaglia d’incontro” iniziata tra Cairate, la cittadina sull’Olona della badessa longobarda Munigund, e Borsano, un tempo Comune indipendente. Era accaduto che le pattuglie esploranti della scorta di Federico, che aveva passato la notte nel monastero di Cairate, si erano per caso incontrate con gli esploratori della Lega spintisi fino al fiume Olona. Il combattimento iniziò subito e gli imperiali ebbero in un primo momento la peggio, sicché fu un accorrere di altre truppe imperiali che, in breve tempo, riuscirono a capovolgere le sorti di quel combattimento. Anche i leghisti (di allora…) fecero intervenire altra truppa, sicché lo scontro si andò spostando via via verso Legnano, dov’era il grosso dell’esercito della Lega Lombarda che, dopo alterne fasi, alla fine sconfisse gli imperiali e lo stesso Barbarossa fu costretto a rinchiudersi a Pavia dopo essere sfuggito per un pelo dall’essere catturato.

La Battaglia di Legnano, celebrata da una miriade di poeti e pittori, che dal Risorgimento ad oggi hanno contribuito ad ingigantirla a dismisura, fu una vittoria politica più che militare, perché oltre a cacciare il Barbarossa dall’Italia dimostrò – oltre sette secoli prima delle armate popolari della Rivoluzione Francese – che gli eserciti popolari se ben motivati hanno sempre la meglio sugli eserciti professionisti. I combattenti della Lega Lombarda, infatti, erano operai, artigiani, contadini, borghesi e, tuttavia, batterono gli imperiali che invece erano soldati di mestiere. Senza trascurare il fatto che i lombardi erano molto incazzati contro i tedeschi.

Anche se avvenne nello stesso anno, ben diversa da quella del Barbarossa fu la sorte del condottiero della Lega a Legnano, che non fu il mai esistito Alberto da Giussano ma il Console di Milano Guido da Landriano, il quale morirà nella carica di Podestà di Asti lo stesso anno di Federico Barbarossa.

Nel suo letto però.

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