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Dove va a finire la volontà del popolo

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Sbarrando la strada all’economista Savona, il presidente Mattarella ha compiuto un atto politico che non gli è riservato perché la Costituzione stabilisce che, salvo in due casi, egli non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e, in quanto tale, non può compierne

– Vincenzo Ciaraffa –

La recente decisione del presidente della Repubblica di opporsi alla nomina di un ministro propostogli dal presidente del Consiglio da lui incaricato a formare il governo, soltanto perché il designato aveva un’idea di Europa diversa dalla sua, secondo noi ha procurato una profonda ferita alla Costituzione, una ferita che non si rimarginerà tanto facilmente. Se mai si rimarginerà. Non siamo degli inarrivabili conoscitori della Costituzione e purtuttavia ne sappiamo abbastanza per capire che Mattarella ha fondato la sua decisione su di una grave discriminazione e su prerogative presidenziali tutte da dimostrare. La discriminante è stata che – sebbene fosse espressione dei desiderata della maggioranza degli elettori – un ministro designato non è potuto entrare in carica perché aveva qualche opinione diversa da quelle del presidente della Repubblica. Ma il designato aveva qualche opinione diversa anche da quelle del Pd, dall’Unione europea a trazione tedesca e dal Fondo monetario, insomma tutto quell’establishment nazionale ed internazionale che ha ridotto l’Italia nelle pietose condizioni in cui versa oggi. Troviamo tutto ciò inaccettabile per molte ragioni politiche, economiche, etiche e storiche ma inaccettabile, soprattutto, per due costituzionali ragioni:

  1. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (Articolo 3 della Costituzione);
  2. “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (Articolo 21 della Costituzione).

Anche soltanto per questi due articoli è da ritenersi piuttosto azzardato il veto del capo dello Stato sulla nomina di un ministro proposto dal presidente del Consiglio (da lui) incaricato, pur non sottacendo che a giustificazione del suo operato sia stato invocato da più parti l’Articolo 92 della nostra Costituzione: «Il Governo della Repubblica è composto del presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri».

Immaginiamo sia implicito che il capo dello Stato in tali scelte sia obbligato ad interpretare l’indirizzo politico della maggioranza uscita dalle urne, sennò a che cosa servono le elezioni? E non v’è dubbio che il proscritto presidenziale Paolo Savona fosse diventato espressione di una maggioranza proprio per le sue idee, posto anche che il governo da quella maggioranza doveva poi essere sostenuto in Parlamento. Peraltro, sbarrando la strada a Savona, Mattarella ha compiuto un atto politico che non gli è riservato poiché l’Articolo 90 della Costituzione stabilisce che egli non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione.

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Va da sé che, siccome il Presidente non è responsabile dei suoi atti, non può compierne di politici come quello di assumersi la responsabilità d’inficiare una scelta scaturita dal risultato di libere elezioni. D’altronde è fuori dal mondo la tesi secondo la quale il presidente della Repubblica sia legittimato a scegliere i membri del governo, e la maggioranza parlamentare bovinamente ad avallarla: di solito in una democrazia parlamentare avviene il contrario!

Coloro che si definiscono democratici in queste ore stanno tentando di annullare la sconfitta nelle urne “usando” Mattarella, mobilitando in suo nome la piazza con toni barricadieri, ergendosi a pasdaran del Presidente il quale speriamo voglia prenderne pubblicamente le distanze. Anche perché sembra di trovarsi di fronte ad alcuni rituali degli anni di piombo, come se le elezioni del 4 marzo le avessero vinto le Brigate Nere e non gli arrabbiati cittadini. Questi, intanto, ancora più arrabbiati di prima, in queste ore si stanno ponendo due domande. Il nostro voto vale ancora qualcosa? Siamo ancora in una democrazia parlamentare?

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