La pietas, un fatto di civiltà

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Un aforisma al giorno toglie il medico di torno

– Raffaele Ciaraffa –



Tale espressione è di Virgilio ed è sintomatica di quella pietas che, nell’Eneide, è caratterizzante della personalità di Enea, da cui il grande poeta mantovano fa discendere la gens latina.

La pietà per i defunti, nemici o amici in vita, da sempre ha costituito il metro di valutazione della civiltà dei popoli e delle nazioni. A tale riguardo mi piace ricordare anche un pensiero del poeta Cesare Pavese, riferito ai morti della Repubblica di Salò durante la guerra di liberazione: «Ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi l’ha sparso. Guardare certi morti è umiliante. Non sono più faccenda altrui; non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione».

Se fosse stato contemporaneo del Pavese, il filosofo illuminista Blaise Pascal non avrebbe condiviso. Nei suoi “Pensieri” infatti, a proposito dei defunti, si legge: «Bisogna aver pietà gli uni degli altri. Ma per gli uni bisogna avere una pietà che nasce dalla tenerezza, per gli altri una pietà che nasce dal disprezzo». Mi chiedo, a questo punto, se sia possibile una pietà prodotta dal disprezzo.