Un papa a cavallo di un secolo pericoloso
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È troppo presto per poter ragionevolmente prevedere quale fisionomia assumerà il magistero del nuovo papa e, tuttavia, sono in molti a pensare che la sua capacità di saper divenire multiplo e conformante potrebbe essere l’arma vincente per il pastore di una Chiesa secolarizzata e in debito di spiritualità
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Nel 2004 in Italia è stata sospesa la leva militare ma non il vizietto di voler arruolare qualcuno contro la propria volontà, papi compresi. Infatti, Benedetto XVI fu arruolato come il “papa tetesco” e retrogrado perché assertore di una Chiesa incardinata sulle sue millenarie tradizioni e, per questo, fu inviso ai progressisti e ai loro fiancheggiatori; Bergoglio invece è stato il beniamino indiscusso della Sinistra globalista. Ma lo schema per poter inquadrare un papa è davvero così semplice? Secondo alcuni sì. Infatti, dopo meno di ventiquattrore dalla sua elezione al sacro soglio papa Leone XIV, suo malgrado è stato arruolato tra i conservatori perché alla prima apparizione dalla loggia di San Pietro ha indossato i classici paramenti papali… e come si doveva vestire, da hooligan! Il neo pontefice è stato arruolato anche dai progressisti perché ha scelto il nome di un suo predecessore, Leone XIII, dimentichi del fatto che quel papa è passato alla storia per essere stato l’autore dell’enciclica sociale “Rerum Novarum”, la quale tagliò l’erba sotto i piedi ai rivoluzionari socialisti e, in un certo qual modo, gettò il seme del partito popolare di don Sturzo che poi sarebbe diventato Democrazia Cristiana, che non era proprio un partito progressista.
Ma v’è un altro aspetto, quello metafisico, sul quale vale la pena spendere qualche parola, anche perché quando si parla di eventi e personaggi religiosi è facile incorrervi anche senza proporselo. Qualcuno degli analisti “esperti di cose vaticane” si è detto meravigliato del fatto che, a simboleggiare una certa continuità col predecessore, il nuovo papa non abbia scelto il suo stesso nome, Francesco. E qui viene un po’ da ridere perché nessuno di essi, abituati come sono a volare più in alto dello Spirito Santo, ha colto un dettaglio anagrafico non di poco conto: il papa si chiama già Francesco! Figuriamoci soffermarsi sulla singolarità del fatto che il cognome Prevost, tradotto in italiano, significa Prevosto ovvero amministratore dei beni temporali di un’istituzione religiosa. Come dire che col papa americano ha trovato conferma per l’ennesima volta il nomen omen dei latini.
Ma adesso ritorniamo al fisico, al verificabile, o almeno al desumibile, con una domanda che in molti ci stiamo facendo in queste ore: chi ha votato Prevost in Conclave dal momento che i più gettonati sembravano essere i cardinali di lungo corso Zuppi e Parolin? Questo forse non lo sapremo mai con certezza, anche se qualche osservazione a riguardo possiamo farla. Nella Cappella Sistina v’erano 133 cardinali elettori di cui 108 erano stati nominati da Francesco durante il suo pontificato. E quindi? Si dà il caso che dal 2023 a oggi i religiosi da nominare vescovi li abbia selezionati il nostro ex cardinale Robert Francis Prevost nella veste di responsabile del Dicastero per i vescovi. Ciò è avvenuto, immaginiamo, su segnalazione dei loro cardinali, gli stessi che poi si sono trovati riuniti in Conclave lo scorso 7 maggio. Alla formazione del quorum potrebbero aver contribuito anche i 20 cardinali statunitensi e quelli sudamericani… do ut des? Per carità, come non arruoliamo le persone, non arruoliamo neppure le congetture. Certo è che alla quarta votazione l’ex cardinale Prevost ha superato inaspettatamente la soglia degli 89 voti occorrenti per essere eletto al soglio pontificio, nonostante si fosse dovuto misurare con due grossi calibri come i colleghi Parolin e Zuppi, rispettivamente segretario di Stato e presidente della Conferenza Episcopale. Potremmo metterla così: i suoi prestigiosi competitors in Conclave avevano i titoli, mentre lui aveva i voti. Qualcuno ha scritto che quei voti glieli avrebbe procurati anche Donald Trump tramite dei danarosi benefattori americani che avrebbero promesso sovvenzioni filantropiche alle curie dei cardinali impegnati in conclave, ma non è dimostrato, anzi proprio non ci crediamo.

Ovviamente gli analisti, che fino a oggi non ne hanno imbroccata una che fosse una, da domani inizieranno a prodursi in altre certezze del tipo: Leone XIV è anti trumpiano. No, è trumpiano. È un progressista. No, è conservatore. E via così. Ma Prevost che non è un pretone abborracciato come il suo predecessore, sa bene che l’entusiasmo di questi primi giorni prima o poi svanirà, come sa di partire con l’handicap di essere uno yankee come Trump e il suo vice, che in questo periodo non sono molto amati dall’establishment progressista globale, e per questo motivo cercherà d’incarnare le caratteristiche di tre papi che godono tutt’ora di una buona considerazione e ottima stampa. Il primo, Giovanni XXIII, perché fu il papa del 21° Concilio Vaticano dopo quasi un secolo. Il secondo, Karol Wojtyła, perché fu un “papa politico” e padrino della caduta del muro di Berlino che trascinò con sé anche l’impero sovietico. Il terzo, Bergoglio, che pur non essendo riuscito a dare una linea e un volto al suo magistero petrino, ha avuto ottime entrature tra i progressisti di mezzo mondo. E, d’altronde, basta rileggere il primo discorso che il neo papa ha fatto ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per accorgersi del suo tentativo neppure molto coperto di essere un pontefice trino, in quanto nel discorso ricorrono echi provenienti dalla visione pastorale dei tre menzionati predecessori. Vediamo un po’.
Eco giovannea: «…vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie…». (Giovanni XXIII. “Quando tornate a casa, fate una carezza ai vostri bambini e dite che è la carezza del Papa”).
Eco wojtyliana: «Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà!». (Giovanni Paolo II. «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!»).
Eco bergogliana: «Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo». (Papa Francesco: «Costruite ponti, non muri. Un ponte che possiamo realizzare qui e ora: stringerci la mano»).
Nonostante alcune ipotesi anticipatorie, ci rendiamo conto che è troppo presto per poter veramente verificare in quale ambito papa Prevost collocherà il suo magistero e, purtuttavia, azzardiamo a pensare che la capacità di essere conformante potrebbe essere l’arma vincente per il pastore di una Chiesa che si trova a cavallo di quello che per adesso è un orrido inizio di millennio, come dire alle prese con problemi dottrinali, organizzativi, morali e politici che, per essere affrontati con costrutto, richiederebbero non uno ma molti papi, tutti con caratteristiche diverse per confrontarsi con situazioni diverse. E d’altronde, giusto per fare un esempio, l’approccio con la guerra russo-ucraina non potrebbe essere lo stesso di quello per la lotta tra palestinesi e israeliani o tra indiani e pakistani. Questo, se lo avete notato, è un pontefice atletico e dal passo veloce, come veloce sospettiamo sia il suo pensiero. Insomma, il nuovo papa è nelle migliori condizioni psicofisiche per capire che il gregge di Cristo ha bisogno di un vicario moderno, ma che sia capace di essere anche spirituale e convincente. Che cos’altro aggiungere se non che Bergoglio ci lasciò perplessi fin dal primo momento che comparve sul sacro balcone e aprì la bocca: nella circostanza ci saremmo aspettati da lui un rasserenante messaggio spirituale e invece se ne uscì con una banale «Buona notte e buon risposo», mentre il primo discorso di questo papa, così come la sua spirituale omelia di ieri in Sistina, sono stati per i credenti come il suono della tromba prima di una carica di cavalleria.
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