Il nuovo Sessantotto green e il Nobel prêt-à-porter

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Fa senso vedere i rappresentanti dell’attuale sistema di potere intrupparsi con i cortei ambientalisti ispirati dalla giovane Greta, come se il degrado del pianeta non fosse il figlio prediletto di quello stesso sistema di potere. Avvenne la medesima cosa all’indomani delle proteste dei ragazzi francesi del maggio ’68 contro il vecchio sistema di potere, quando i politici, per “assorbire” la protesta divenuta ormai globale, si riciclarono in riformisti
– Enzo Ciaraffa –

Che cosa sia successo ieri con il FridaysForFuture, lo sciopero dei ragazzi di (quasi) tutto il mondo a difesa dell’ambiente e contro i repentini cambiamenti climatici, è sintetizzabile con una preliminare osservazione: allo sciopero globale ha dato il proprio sostegno morale anche la Russia. Come dire un Paese che può considerarsi il più deliberato killer del pianeta terra perché, oltre ad aver provocato la catastrofe nucleare di Chernobyl, ha fatto sparire addirittura un mare, il mare d’Aral, con la pianificata follia di voler cambiare ciò che la natura era riuscita a creare in sei milioni di anni.

V’è stata più coerenza, se vogliamo, nella scarsa o addirittura nulla partecipazione al primo sciopero globale a difesa dell’ambiente degli altri grandi inquinatori, come i Paesi del sud-est asiatico, della Cina, dell’India, del Giappone e della Corea del Sud. Sì, perché il nocciolo del problema, quello che ieri non è stato neppure sfiorato dalla saliva green dei politici mondiali, è riassumibile in due domande: i Paesi dalla tecnologia avanzata sono disposti a congelare il loro sviluppo in nome dell’ambiente? Di contro, si può pensare d’imporre a quelli sottosviluppati di rinunciare a progredire per non inquinare?

Ci rendiamo conto che il suggerimento di rispondere a queste due ineludibili domande, nel giorno della più grande mobilitazione pilotata a difesa dell’ambiente che la storia ricordi, non avrebbe trovato molti sostenitori ma questo, secondo noi, è proprio ciò che è mancato ieri. Lo sanno bene i politici e i detentori del potere sia economico che industriale i quali, come già avevano fatto mezzo secolo fa col Sessantotto, per non essere crocifissi sulla pubblica piazza per i loro colpevoli ritardi in materia di tutela ambientale, ieri hanno messo il cappello su di un nuovo tipo di protesta globale alla quale potremmo dare nome di Sessantotto Green.

La malafede del sistema diventa poi palpabile se ci sforziamo di andare a conoscere da vicino colei che, crediamo suo malgrado, è diventata l’icona della protesta ambientalista, Greta Thunberg, un’adolescente svedese che ha deciso di marinare la scuola ogni venerdì, per protestare davanti al Parlamento di Stoccolma a favore di una politica più rispettosa dell’ambiente. Poi, grazie ad una sua foto che ha fatto il giro dei mondi social, si è scatenato lo tsunami santificante, a partire dal fatto che la ragazzina, per diminuire l’impatto ambientale della sua famiglia, avrebbe imposto a questa una dieta vegana… un po’ da despota in sedicesimi ma, che cosa volete, ad una quasi santa si perdona tutto. Si può perfino far finta di non sapere che i suoi genitori sono due artisti piuttosto noti in Svezia anche perché fautori dell’immigrazione ad oltranza, e che hanno diffuso la balla che Greta sia la co-autrice di due album ambientalisti, Opera di fiori e Svezia che in realtà sono stati scritti dalla madre anni addietro.

Ormai non è più possibile tenere l’esatto conto delle comparsate di Greta al Parlamento europeo, alle Nazioni unite e al Forum economico mondiale di Davos dove i potenti della terra, come dire i principali responsabili delle malmesse condizioni del nostro pianeta, hanno finto di abbeverarsi entusiasticamente alla fonte dell’acerba saggezza ambientalista della ragazzina svedese, che è stata anche proposta per quella specie di riconoscimento prêt-à-porter che è diventato il Premio Nobel.

È sconcertante vedere i rappresentanti dell’attuale sistema di potere intrupparsi con i cortei ambientalisti ispirati dalla giovane Greta, come se il degrado del pianeta non fosse quel loro figlio che ormai non possono più nascondere. Chi ha la nostra età ricorda ancora con disgusto che, all’indomani delle proteste dei ragazzi francesi del maggio ’68 contro il vecchio sistema di potere, i politici, per assorbire la protesta divenuta ormai globale, si riciclarono in riformisti. A tal proposito, crediamo che in qualche redazione di giornale esista ancora la foto che riprende uno dei più vecchi arnesi della peggiore Democrazia Cristina, Ciriaco De Mita, intruppato nei cortei sessantottini.

Ma per capire che cosa sia realmente accaduto ieri, può aiutare il film Le cinque giornate, diretto dal regista Dario Argento nel 1973 che, di certo, non entrerà nella storia della cinematografia e purtuttavia ebbe il grande merito di condensare nel finale il criterio con cui si realizzò la rivolta dei milanesi nel 1848 e, successivamente, l’Unità. Nella scena di chiusura del film, infatti, si vede una parte della borghesia milanese che, su di un palco, era intenta a titillare i popolani delle barricate che non servivano più al suo scopo dopo la fuga degli austriaci e, quindi, andavano rapidamente blanditi e congedati per evitare che passassero armi e bagagli con quell’altro sovversivo di Carlo Cattaneo. Ebbene, invitato a salire anche lui sul palco, il protagonista del film, Cainazzo (Adriano Celentano), prende a urlare a perdifiato: «Ci hanno fregatiiii!».

Abbiamo, dunque, fondate ragioni per temere che nei prossimi anni quello stesso urlo rimbomberà più volte nelle orecchie dei sinceri ambientalisti di oggi, se essi si faranno assorbire ancora una volta.